Contenuti
Ufficiale, comandante e diplomatico: l’italiano Amedeo Guillet ricoprì brillantemente queste cariche, ma limitarsi a descriverlo come tale sarebbe riduttivo. Venuto a mancare nel 2010, dopo 101 anni di vita straordinaria, oggi viene ricordato per le sue numerosissime esperienze militari e per il profondo amore verso la patria, per la quale si batté sempre.
È stato definito da alcuni il “Lawrence d’Arabia italiano” perché, come il celebre ufficiale inglese, combatté in terra araba, subendo il fascino esotico e assimilando la lingua e la cultura delle popolazioni indigene.
Le sue spedizioni militari lo condussero soprattutto, ma non unicamente, in terra africana, dall’Etiopia all’Eritrea, e in quest’ultima visse un’inaspettata avventura. Cosa ha reso la storia di Amedeo Guillet così sensazionale?Ripercorriamone i momenti più salienti e curiosi.
Il “Comandante Diavolo”
La sua carriera fu costellata da numerosissime medaglie al valore e riconoscimenti, ma la sua avventura più grande vide la luce solo con un atto di insubordinazione. Era il 1941 e imperversava la guerra in Africa Orientale, come nel resto del mondo. Le truppe britanniche erano entrate vittoriose ad Asmara, capitale dell’Eritrea, costringendo il contingente militare italiano alla ritirata.
Fu allora che, a dispetto del patto di armistizio firmato dal comandante italiano, l’ufficiale Guillet decise di remare contro gli ordini dettati dall’alto, iniziando una guerriglia privata. Lo scopo delle sue azioni erano semplici: trattenere i soldati britannici in Eritrea e ritardare in questo modo l’invio di quel contingente contro gli italiani in Libia.
Guillet, tuttavia, non fu solo. Al suo fianco si batterono i soldati locali, timorosi che la loro terra potesse essere assorbita dall’Etiopia con il supporto degli inglesi. Fu, così, che questi uomini presero a soprannominarlo “Comandante Diavolo” per il coraggio e il valore dimostrati in battaglia. Amedeo Guillet esercitò uno stile di comando sempre molto democratico nei confronti dei soldati indigeni, non solo rispettandone gli usi e i costumi, ma facendoli propri.
La trasformazione in arabo di Guillet
Amedeo Guillet divenne una spina nel fianco dei britannici e per tale motivo fu stabilita una taglia di 1.000 sterline d’oro per il suo ritrovamento, da vivo o morto. Cionostante, il comandante non venne mai tradito; al contrario, gli furono offerti protezione e rifugio.
La guerriglia privata di Guillet, in effetti, si protrasse per otto mesi, dopo i quali il comandante dovette darsi alla macchia. Protetto dai suoi amici locali, egli assunse una falsa identità: divenne l’arabo yemenita Ahmad Abdallah al-Redai. La trasformazione in arabo, però, non fu solo apparente. Guillet apprese la lingua araba e si avvicinò anche alla religione più diffusa nel mondo arabo: l’islam. Ebbe persino una concubina, Khadija, che gli fu accanto durante la resistenza armata contro i britannici.
Un uomo camaleontico
Amedeo Guillet fu un uomo dai mille volti. Nascondendo la propria identità e acquisendone di nuove, egli riuscì furbamente a depistare e, talvolta, a prendersi gioco degli inglesi che gli stavano alle calcagna (come quando intascò i soldi della sua stessa taglia). Per sopravvivere e restare sotto copertura dovette, però, svolgere dei lavori umili e superare non poche difficoltà.
Deciso a partire per lo Yemen, Guillet si finse parente di un cammelliere arabo che lo aveva soccorso e ospitato dopo una brutta vicenda di cui era stato vittima. Sotto queste nuove spoglie, riuscì a ingannare ancora una volta gli inglesi e a ottenere il permesso per lasciare l’Eritrea.
Giunto in Yemen, Guillet venne, però, arrestato perché accusato di essere una spia al servizio dei britannici. Tuttavia, dopo aver ascoltato la storia del misterioso immigrato, l’imam yemenita lo prese sotto la propria ala, offrendogli protezione e affidandogli anche incarichi di prestigio presso la sua corte.
Un anno dopo, si presentò l’occasione per fare rientro in patria: Amedeo Guillet riuscì a infiltrarsi su una nave della Croce Rossa Italiana fingendosi pazzo per tutto il tragitto. Il comandante Guillet era, così riuscito a sfuggire alla persecuzione inglese per ben tre volte, grazie ai brillanti mascheramenti e al prezioso supporto prima eritreo, poi yemenita.
Non esattamente Lawrence d’Arabia
Nonostante la vita di Amedeo Guillet sia stata spesso paragonata a quella del celeberrimo Lawrence d’Arabia, sarebbe fuorviante identificare completamente le due figure. In effetti, come discusso da Bastian Matteo Scianna nell’articolo Forging an Italian hero? The late commemoration of Amedeo Guillet, oltre ad alcune indubbie similitudini, vanno prese in considerazione anche le (non poche) differenze delle loro storie.
Innanzitutto, se da un lato Amedeo Guillet fu un militare professionista, dall’altro, l‘inglese Lawrence, fu un archeologo, un ricercatore che aveva indossato solo successivamente l’uniforme, al servizio del suo paese. Inoltre, se è pur vero che quest’ultimo aveva studiato la lingua e la cultura araba abbracciando la causa dell’indipendenza araba, Guillet seppe spingersi oltre.
L’eroe italiano, in effetti, si convertì all’islam, ebbe una relazione amorosa con una donna eritrea, la già menzionata Khadija, e non pagò mai la fedeltà dei suoi soldati indigeni. Se Lawrence d’Arabia potè contare sul sostegno politico ed economico del suo Paese, Guillet, invece, agì da solo.
Il vero punto d’incontro tra le due storie, in definitiva, è stato il forte contatto con il mondo arabo, attraverso la comprensione e l’interesse per la cultura locale. Senza dubbio, le loro vite avventurose e fuori dal comune meritano di essere ricordate e raccontate.
Rimani sempre aggiornato seguendoci su Telegram e Instagram!