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In questa seconda parte ci dedicheremo a descrivere brevemente gli sviluppi della questione arabo-israeliana nella seconda metà del Novecento. Dopo gli scontri del ’48 e la crisi di Suez, Israele si rafforzò ulteriormente fino ad assurgere a potenza regionale dominante. Questo le permise di proiettare nuovamente la sua capacità offensiva sui suoi vicini ripetutamente per tutto il XX secolo. Qualora vi foste persi la prima parte, potete cliccare qui per leggerla.
La blitzkrieg d’Israele: la Guerra dei Sei Giorni
Dopo undici anni dai fatti di Suez, sulla Terra Santa spiravano nuovi venti di guerra. La salita al potere del partito baathista in Siria nel 1966 portarono Damasco e Tel Aviv ai ferri corti. Noureddin Mustafa Ali al-Atassi, nuovo leader siriano, cercò subito manforte per opporsi alla minaccia israeliana. Infatti, i due Paesi stavano dando il via ad una intensa schermaglia nell’area del mare di Galilea.
L’Egitto rispose subito alla chiamata, siglando un patto di mutua difesa con Damasco. Israele si mosse molto rapidamente, attaccando preventivamente vari villaggi giordani in cui diversi fedayn palestinesi si rifugiavano per poi insediare in maniera asimmetrica le forze ebraiche. Questo attacco esacerbò ancora di più gli animi, non permettendo alla tensione di scemare.
Ad aprile del 1967, l’escalation ebbe inizio con l’abbattimento di sette MiG siriani sui cieli di Damasco da parte d’Israele. Intanto, un rapporto dell’intelligence sovietica riportava erroneamente al governo siriano che l’IDF (Forze di Difesa Israeliane) stava ammassando le proprie truppe presso le alture del Golan. Ottenuta tale informazione in maggio, Nasser si mosse coraggiosamente nel Sinai chiedendo un ritiro parziale delle truppe ONU nell’area.
L’organizzazione offrì due opzioni al presidente egiziano: non-ritiro o ritiro totale. Per non perdere credibilità, Nasser scelse il ritiro completo, rimuovendo di fatto l’unico cuscinetto tra sé e Israele. Il 22 dello stesso mese ripeté la chiusura degli stretti di Tiran come undici anni prima. Gli israeliani interpretarono ciò come un casus belli, ritenendo che l’estromissione dal Mar Rosso fosse per loro inaccettabile.
Intanto, il 30 la Giordania si unì al patto di difesa sirio-egiziano per evitare l’isolamento diplomatico. Gli Stati Uniti diedero un tacito assenso ad Israele riguardo un attacco preventivo che avvenne il 5 giugno 1967. La grande catastrofe militare araba ebbe inizio con un colpo tanto rapido quanto letale: l’aviazione israeliana distrusse in poche ore 585 velivoli ancora a terra della coalizione islamica. Questo fornì agli ebrei il totale controllo dei cieli, pilastro della guerra contemporanea.
L’offensiva di terra fu travolgente ed in sei giorni Israele conquistò l’intero Sinai, la Cisgiordania e le Alture del Golan. La scarsa coordinazione degli eserciti arabi non diede vita ad un attacco congiunto, permettendo ad Israele di sconfiggere un esercito alla volta. Dal 6 all’8 giugno, gli israeliani travolsero l’esercito egiziano e sbarrarono la ritirata a migliaia di soldati nei passi di Mitla e Gidi.
A migliaia trovarono la morte, molti vennero catturati, altri fuggirono attraverso il deserto dove morirono di stenti. L’8 giugno, inoltre, l’aviazione ebraica attaccò deliberatamente la nave spia statunitense USS Liberty, causando la morte di 34 marinai americani nella totale non curanza del gruppo navale orbitante attorno alla portaerei Saratoga. L’azione sembrerebbe essere stata eseguita in virtù di comunicazioni registrate dalla USS Liberty che il governo israeliano non voleva fossero divulgate.
Il 10 giugno arrivò il cessate il fuoco che terminò le ostilità. Il mondo arabo uscì distrutto da questo conflitto, ormai deluso dalle élite al potere e sfiduciato nei confronti dell’ideologia panaraba. Lo Stato ebraico aveva triplicato la sua estensione in soli sei giorni, sferrando un duro colpo ai suoi storici nemici. Israele aveva vinto strategicamente, ma non tutti i guadagni sarebbero durati a lungo.
Fare la guerra per fare la diplomazia: La Guerra dello Yom Kippur
La Guerra dei Sei Giorni aveva rappresentato uno spartiacque per il mondo islamico. Israele era ormai all’apice della sua forza, mentre i Paesi perdenti si riorganizzavano dal punto di vista politico. Il 1970 vide due importanti cambi di leadership nelle due principali nazioni del blocco filopalestinese. Anwar Sadat divenne presidente dell’Egitto a seguito della morte improvvisa di Nasser che era stato stroncato da un infarto.
La Siria, invece, vide la salita al potere del baathista Hafez al-Assad (padre dell’attuale presidente siriano Bashar al-Assad). La Giordania e il Libano si limitarono a defilarsi dallo scontro, per quanto continuassero a supportare idealmente la causa palestinese. Il presidente Sadat fu subito impegnato nel dare all’Egitto un enorme cambio di rotta geopolitico.
Egli era disposto ad infrangere il tabù dei negoziati con Israele, a patto che si giungesse ad un compromesso accettabile per ambo le parti. Sadat era consapevole che l’economia egiziana dovesse essere risanata. Tale ripresa economica poteva avvenire per lui solo alleggerendo la spesa militare e permettendo agli investimenti occidentali di inondare il Paese. Ciò rimaneva comunque impossibile fino a che Israele avesse mantenuto il controllo della penisola del Sinai e non si fosse giunti ad un trattato di pace.
Tel Aviv rifiutò immediatamente la proposta egiziana che consisteva nel: aprire il Canale di Suez, dichiarare un cessate il fuoco e negoziare una pace sulla Risoluzione 242 dell’ONU. Secondo Israele, le nuove frontiere erano necessarie per la sicurezza dello Stato ebraico. Alla luce di ciò, Sadat decise procedere per una via eterodossa: usare la spada per fare la pace.
L’Egitto intendeva avviare un nuovo conflitto con Israele per indebolirlo così da poter negoziare da pari a pari i termini delle trattative. Il Cairo fece di nuovo ricorso al suo usuale alleato siriano per organizzare stavolta un vero e proprio attacco coordinato. Al-Assad rispose positivamente al piano egiziano e a gennaio i due eserciti furono posti sotto un comando unificato, mentre diverse manovre diversive riuscirono a dissimulare le intenzioni arabe.
L’intelligence israeliana, infatti, non comprese che gli arabi stavano per montare una nuova operazione militare, sottovalutando in maniera grossolana le potenzialità belliche di Siria ed Egitto a seguito della sconfitta del 1967. Anche l’Alto Comando ebraico non fu da meno, troppo sicuro della propria superiorità militare.
Il 6 ottobre 1973 scoppiò infine la Guerra dello Yom Kippur. L’attacco fu un vero e proprio fulmine a ciel sereno per il governo israeliano che dovette correre ai ripari. Le operazioni arabe furono questa volta efficaci grazie ad un coordinamento interforze vero e proprio che permise agli egiziani di superare il Canale di Suez e ai siriani di muovere verso le Alture del Golan.
Il repentino coinvolgimento dell’aviazione americana a difesa di Israele scongiurò una dura sconfitta ebraica. A seguito della parzialmente efficace controffensiva israeliana, il 22 ottobre si negoziò un cessate il fuoco. L’Egitto era riuscito a colmare la disparità di forza in campo e poteva ora negoziare in maniera paritaria. Il Sinai venne riconsegnato al legittimo proprietario e fu avviato un lungo processo che portò al primo trattato di pace arabo-israeliano tra Egitto ed Israele con gli accordi di Camp David del 1979.
L’inaspettato cessate il fuoco colse di sorpresa il leader siriano Hafez al-Assad che non volle minimamente seguire Sadat sul percorso del compromesso, considerando l’egiziano come un traditore della causa palestinese. Il siriano non era mai stato informato della volontà del Cairo di negoziare rapidamente con Tel Aviv. Ciò si tradusse in un conflitto inconcludente per Damasco che non riuscì a riappropriarsi delle Alture del Golan strappategli nel ’67. A dispetto di questo, la Siria baathista perseverò stoicamente nella linea dura antisionista e nella corsa agli armamenti.
La Guerra dello Yom Kippur non fu solo fondamentale per il conflitto arabo-israeliano, ma anche per gli equilibri della Guerra Fredda. L’Egitto abbandonò progressivamente la sfera sovietica per allinearsi infine con gli Stati Uniti nel 1979. Tale rivolgimento indebolì il fronte palestinese, poiché Israele non dovette più curarsi dei suoi confini meridionali. Ciò avviò una istituzionalizzazione dell’occupazione israeliana e spinse la resistenza palestinese a ricorrere a metodi sempre più estremi e disperati. Le dinamiche del conflitto erano ora ancora più complesse.
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