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Le tartarughe marine sono le viaggiatrici del Mare Nostrum, e ne hanno abitato le coste fin dai tempi più remoti. Oggi però, le rotte che percorrono da secoli rischiano di diventare percorsi insidiosi: plastica, pesca accidentale, cambiamenti climatici sono nuove sfide che queste creature fragili devono affrontare per sopravvivere.
Le specie del Mediterraneo
Nel Mediterraneo sono presenti regolarmente tre specie di tartarughe marine. La più comune è la Caretta caretta, conosciuta come tartaruga marina comune. Segue la tartaruga verde (Chelonia mydas), le cui nidificazioni sono molto più rare. Infine, c’è la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea): specie occasionale, senza siti di nidificazione noti nel bacino.
La Caretta caretta è la specie predominante nel Mediterraneo: è quella che più spesso si incontra lungo le coste, nei litorali e nelle zone ricche di nutrimento. In Italia, le nidificazioni regolari sono concentrate in poche località del Sud, in particolare Sicilia e Calabria. Altre coste del bacino orientale, invece, come Grecia, Turchia, Cipro e Libia ospitano migliaia di nidi ogni anno.

I giovani esemplari spesso frequentano acque aperte o zone costiere meno trafficate, ma aree come l’Adriatico, lo Ionio e lo Stretto di Sicilia risultano vitali come zone di nutrimento o riposo.
Ciclo vitale delle tartarughe marine
Pur essendo rettili, le tartarughe marine si sono perfettamente adattate alla vita in mare: hanno arti modificati in pinne, un corpo idrodinamico e ghiandole del sale che permettono di espellere l’eccesso di salinità. Respirano aria, non avendo branchie, e devono emergere periodicamente per ossigenarsi.
Dal punto di vista alimentare, la Caretta caretta è in gran parte carnivora: consuma meduse, molluschi, crostacei e piccoli pesci. Purtroppo, studi mostrano che molti individui ingeriscono plastica scambiandola per meduse, con conseguenze letali in alcuni casi.
La riproduzione è un momento cruciale: le femmine risalgono le spiagge tra maggio e agosto per deporre decine o centinaia di uova in nidi sabbiosi. L’incubazione dura circa 45–70 giorni e la temperatura del suolo è determinante nel determinare il sesso dei nascituri (sopra ~29 °C → femmine, al di sotto → maschi). Solo una minima parte delle tartarughine sopravvive fino all’età adulta, ma alcune mostrano una capacità straordinaria: tornare decenni dopo al luogo di nascita, un fenomeno noto come “homing”.
Rotte sommerse delle viaggiatrici del Mare Nostrum
Le tartarughe marine Caretta caretta percorrono traiettorie complesse che attraversano coste, profondità e correnti, nel susseguirsi delle stagioni. I dati satellitari raccolti negli ultimi decenni hanno svelato che queste viaggiatrici alternano movimenti costieri (neritici) e attraversamenti in mare aperto (pelagici), con preferenza per acque dove il cibo è abbondante.
Per esempio, in uno studio nel Golfo di Taranto, due tartarughe catturate accidentalmente furono seguite con tag satellitari per periodi da 8 a 118 giorni: una di esse fece ritorno al sito di cattura, evidenziando una forte fedeltà locale. In casi più estremi, è stato documentato un viaggio di circa 5.500 km da parte di una tartaruga che partì da zone costiere turche e attraversò più zone del Mediterraneo, spingendosi fino all’Adriatico.

Tracciamenti a lungo termine confermano che gli adulti compiono migrazioni stagionali affinando il loro raggio d’azione in base alla temperatura, alla produttività del mare e alla disponibilità di prede. L’habitat adatto, in realtà, non dipende solo dalla profondità o dalla prossimità alla costa: variabili come la concentrazione di clorofilla nel mare, la stratificazione termica e la salinità risultano rilevanti per definire le aree preferite dalle tartarughe in migrazione.
Le rotte non sono fisse, ed ogni tartaruga sceglie la propria a seconda delle condizioni ambientali, risorse locali e della memoria geografica. Quel che è certo è che le “vie invisibili” che le tartarughe tracciano nel Mediterraneo costituiscono un sistema di connessione tra coste tra di loro distanti.
Minacce contemporanee e le azioni di tutela
Le tartarughe marine affrontano, lungo tutto il loro ciclo vitale, minacce gravissime. Le catture accidentali nelle reti da pesca (reti fisse, reti da strascico, spadare) causano un numero rilevante di vittime ogni anno. L’inquinamento da plastica, microplastiche e reti abbandonate è un’altra piaga: spesso gli individui recuperati hanno ingerito detriti, fino all’80 % nei casi studiati dal WWF. Le spiagge adatte alla nidificazione sono messe in pericolo da erosione, urbanizzazione costiera e illuminazione notturna che disorienta le tartarughine.
In più, il riscaldamento globale mostra già i suoi effetti: in alcune zone si osserva un fenomeno di “femminilizzazione” delle nidificazioni, con predominanza di uova che generano femmine per temperature troppo elevate. In Italia, nel 2024 sono stati protetti complessivamente 250 nidi, con circa 13.700 tartarughini schiusi, concentrati in larga parte in Sicilia e Calabria.
Un fenomeno interessante è il cambiamento di rotta: recentemente Legambiente ha segnalato un “boom” di nidificazioni nel Mediterraneo occidentale, con le tartarughe che esplorano aree costiere sempre più occidentali e settentrionali, probabilmente in risposta al riscaldamento climatico.
Le tartarughe marine sono tessere preziose del patrimonio naturale e simbolico del Mediterraneo. In molte culture rappresentano saggezza, protezione e perseveranza, e vederle è considerato un segno di fortuna. Nell’arte mediterranea, mosaici e decorazioni marine ne evocano la presenza come simbolo di armonia con la natura, memoria di un antico rispetto per il mare.
Proteggere e rispettare le tartarughe significa rinnovare quel legame: un gesto di speranza che unisce l’uomo al suo mare.
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