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Chi costruirebbe un ponte per le galline, ordinerebbe di murare vive le proprie guardie o pronuncerebbe sentenze che sfidano ogni logica? In Egitto, per secoli, è bastato rispondere con un nome: Qaraqush. Figura reale e al tempo stesso leggendaria, è diventato il simbolo del potere cieco e assurdo, un archetipo del governante autoritario deriso dalla memoria popolare. Ma chi era davvero l’architetto di cui il Cairo parla ancora?
Qaraqush: comandante e architetto
Dietro la caricatura si nasconde in realtà un uomo potente e rispettato. Il suo vero nome era Bahāʾ al-Dīn Qaraqush al-Asadi al-Rumi al-Maliki al-Nasiri, militare al servizio del grande Saladino nel XII secolo. Divenne chamberlain del palazzo fatimide dopo la caduta della dinastia, e fu incaricato di vigilare sulla famiglia del califfo deposto: un compito delicato, necessario a consolidare il nuovo potere ayyubide.
Nel 1176, Saladino gli affidò un compito di fondamentale importanza: la costruzione della Cittadella del Cairo sulla collina di Muqattam, un’opera che avrebbe protetto la capitale per secoli. Qaraqush ampliò le mura cittadine per includere Fustat e il nuovo centro politico, innalzando fortificazioni che ancora oggi dominano la città. Progettò torri, ponti, caravanserragli e un ponte verso Giza, utilizzando persino pietre provenienti dalle piramidi.

Quando la minaccia crociata si fece pressante, nel 1187, Qaraqush fu inviato ad Acri per rafforzarne le difese. Vi rimase durante l’assedio e, dopo una lunga resistenza, fu catturato nel 1191. Saladino lo fece liberare poco dopo, pagando un enorme riscatto di 20.000 dinari d’oro: un segno del valore che attribuiva al suo comandante e architetto.
Una memoria riscritta
Dopo la morte di Saladino, nel 1193, Qaraqush continuò a servire la dinastia ayyubide. Fu vice di al-Aziz Uthman, figlio di Saladino, e successivamente reggente d’Egitto per il giovane al-Mansur. In età ormai avanzata, ricevette il titolo di Atabeg, ma le pressioni politiche lo costrinsero al ritiro. Morì il 7 aprile 1201 e fu sepolto ai piedi delle colline di Muqattam, vicino alla cittadella che aveva costruito.
Eppure, la memoria di Baha al-Din Qaraqush fu presto stravolta. Fu il funzionario e rivale politico Ibn Mammati a dare il colpo decisivo con il suo libello, che raccoglieva aneddoti e sentenze assurde attribuite al comandante: Kitāb al-fāshūsh fi Aḥkām Qaraqush (“La stupidità nei giudizi di Qaraqush”). In quelle pagine, Qaraqush non era più il pragmatico braccio destro del sultano, ma un giudice ottuso, capace di decisioni grottesche.
Uno degli episodi più celebri racconta di un ladro che, tentando di introdursi in casa di un mercante da una finestra, si ruppe una gamba e lo denunciò per il danno subito. Qaraqush, secondo il libello, diede ragione al ladro, accusando il mercante di aver costruito una finestra difettosa. La colpa rimbalzò poi dal carpentiere distratto da una donna troppo bella, alla donna che incolpò il sarto che aveva cucito il suo abito: il giudice, esasperato, fece arrestare un sarto innocente perché quello “colpevole” era troppo alto per entrare nella cella disponibile.
Con il tempo, il libello si diffuse e fu ampliato, trasformando Qaraqush in un personaggio proverbiale. Ancora oggi, in arabo, l’espressione “giudizio di Qaraqush” indica una sentenza ingiusta o assurda: la caricatura ha finito per oscurare l’uomo reale, lasciando dietro di sé la memoria di un tiranno ridicolo più che di un generale al servizio di Saladino.
Non solo costruzioni bizzarre

La leggenda gli attribuisce costruzioni paradossali: ponti inutili, prigioni che intrappolano carcerieri, demolizioni senza senso. Questi racconti, pur inventati, celano un nucleo di verità storica: Qaraqush fu incaricato di espropriazioni e demolizioni impopolari per ampliare le difese del Cairo. Il popolo, privato di case e terre, trasformò l’architetto in simbolo di un potere che costruisce e distrugge senza logica umana, solo per obbedire all’autorità. Quasi una forma di vendetta culturale: la satira rese ridicolo il potere, riducendo l’uomo più temuto della corte a un personaggio comico.
Autori come al-Suyuti e al-Malki ripresero e arricchirono le storie, consolidando l’immagine del “tiranno pazzo”. Nel XIX e XX secolo, scrittori e cronisti arabi usarono la sua leggenda per criticare nuovi regimi autoritari, mantenendo viva la funzione originaria della satira: smascherare l’assurdità del potere assoluto. Al contrario, i suoi contemporanei lo descrissero in termini elogiativi: il celebre storico Ibn Khallikan, nell suo Dizionario Bibliografico lo definì «un uomo di spirito elevato e singolarmente favorito dalla fortuna in tutte le sue imprese». Un ricordo che contrasta nettamente con l’immagine caricaturale costruita in seguito.
Oggi, del vero Qaraqush restano le mura della Cittadella e le fortificazioni che hanno protetto il Cairo per ottocento anni. Sono il monumento silenzioso a un uomo che servì Saladino con abilità militare e visione architettonica.
Tuttavia, la memoria popolare ha costruito sopra di lui un altro monumento: la leggenda del “tiranno pazzo”, che sopravvive ancora oggi come monito contro l’assurdità del potere assoluto.
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