Contenuti
Questo articolo è disponibile anche in:
Può esistere ancora alterità individuale in questo mondo globalizzato e conformista per eccellenza? Per Ernst Jünger, scrittore, filosofo ed eroe tedesco pluridecorato, ciò non solo è ancora possibile: è un imperativo. Tramite l’opera “Der Waldgang”, il tedesco intende spronare quegli uomini aventi ancora all’interno della propria anima la fiamma sacra che li unisce al filo rosso del continuum del tempo.
Essere l’1%
Germania, 1951. L’Europa è uscita da soli sei anni dall’inferno del Secondo conflitto mondiale e le macerie della guerra stavano lasciando spazio alle nuove strade asfaltate della società dei consumi. Un futuro di grande sviluppo economico, con lo spettro di un incombente scontro con il blocco orientale, iniziava a paventarsi. È in questo scenario che Ernst Jünger scrisse il suo “Der Waldgang”, in una Germania sconfitta e ormai divisa tra americani e sovietici. Lungi dal compiacersi della rapida ricostruzione resa possibile dall’afflusso di investimenti americani del Piano Marshall, il tedesco sottolinea l’avanzata ormai inarrestabile del nichilismo di matrice liberale e marxista.
La prassi elettorale viene qui aspramente contestata come un banale automatismo. Per Jünger, la legittimazione democratica del potere è nel XX secolo ormai totalmente capovolta. È il potere a imporre “la legge agli elettori, e non viceversa”. Si potrebbe arguire che l’autore voglia enfatizzare la natura non-democratica del parlamentarismo liberale occidentale, ridotto ad un meccanismo impersonale e assolutamente non partecipativo a differenza dell’Atene classica. Proprio in virtù di questo illusorio dovere, Ernst Jünger intende elevare la figura di chi agisce al di fuori del recinto imposto dal conformismo elettorale.
Colui il quale ha l’ardire di dire no è l’unico che ci impedisce di “essere ridotti allo stato di termiti”. Questa anomalia rappresenta solo l’1 o il 2% della popolazione per l’autore. Questi è l’unico capace di opporsi realmente al terzo volto del potere; ovvero, la capacità dell’egemone di creare un sistema istituzionale che costringa inconsciamente l’elettore a legittimare ed accettare un impianto che giovi da principio unicamente al potere stesso. Quel singolo no contro gli altri novantanove incarna la libertà che ha la meglio sulla necessità, il coraggio del singolo contro la monotonia della moltitudine.
Questo rapporto di forza di uno a cento è curiosamente necessario al singolo come forma di nobile resistenza così come allo stesso potere. Infatti, tale anticonformista risulta vitale per la narrazione e legittimazione del regime politico che necessita di creare un “nemico deviante”, ma numericamente insignificante. Ciò permette al potere di legittimarsi poiché la quasi totalità degli elettori rientra nella prassi ortodossa del sistema.
Allo stesso tempo, l’esigua minoranza oltranzista viene tacciata di essere pericolosa ed estrema: essa diviene il nemico giurato della comunità. La posizione di quell’1% viene, quindi, condannata integralmente come criminale e dannosa. Il potere costituito procede, quindi, ad autoproclamarsi difensore della maggioranza, legittimando il suo monopolio della forza in virtù del “bene comune” delineato da esso: vediamo qui il secondo volto del potere.
Diventare un Waldgänger
Ma far parte di quella sparuta minoranza che esuli dall’ortodossia elettorale non è abbastanza per essere realmente un qualcosa per Jünger. Bisogna trovare il Waldgang, ovvero, il “passaggio al bosco”. Essere un Waldgänger significa letteralmente essere “colui che passa al bosco”. Ma cosa è questo passaggio e cosa si intende per bosco? L’origine di questo termine affonda nell’Islanda medievale. Il Waldgänger si dava alla macchia volontariamente, in virtù del suo essere un fuorilegge o un proscritto. Tale azione incarnava la volontà del ribelle di potersi affermare con le sue sole forze.
Al nostro tempo, ciò è un atto di trasfigurazione, un’elevazione dell’anima ad un grado superiore di consapevolezza fuggendo dagli angusti percorsi prestabiliti dal mondo attuale. Il Ribelle è tale perché sceglie il “bosco” che è luogo di rifugio ed ispirazione. Il singolo non è attratto dal bosco passivamente: egli vi si dirige volontariamente come soggetto attivo. È l’individuo che riscopre il suo fuoco vitale che non può essere sopito dalla contingenza e dalla tecnica contemporanea. Dall’essere un “semplice 1%”, egli diviene qualcosa di organico ed autosufficiente.
Il bosco e la natura hanno sempre avuto una centralità privilegiata nell’immaginario delle civiltà umane. Esso diviene il luogo cardine del mutamento interiore del Ribelle in virtù dell’atavica connessione tra animo umano e natura. Il Giardino dell’Eden, i boschetti sacri dei Germani, le ninfee greche, i chiostri medievali traggono tutti origine dall’episteme che vide ab origine l’uomo parte integrante delle forze terrestri. Il bosco è un simbolo, il quale racchiude una pletora di essenze e significati. Il bosco è atemporale: in esso l’uomo si rifugia per trarre rinnovata ispirazione.
L’uomo che si reputi un Waldgänger riesce a penetrare nelle maglie dell’essere: è immune alle casualità del presente. Egli è pronto a dar battaglia nel nome della libertà, esprimendo un forte rifiuto per l’automatismo e per l’asfissiante sicurezza promessa dal Leviatano. Il Ribelle è immune alla paura diffusa nelle società attuali. La paura negli anni ’50, come descrive Jünger, si concretizzava nel blocco orientale, nella mutazione della società, nell’accrescimento della tecnica. L’angoscia è quindi sovrana della quotidianità, così che il cittadino atterrito diventi nevroticamente bisognoso di un asservimento a ciò che è percepito come conformista.
Il potere costituito offre, dunque, la propria protezione dall’angoscia a patto di far capitolare la propria libertà ed organicità. Il Ribelle rigetta di venir guidato dall’angoscia. Egli è pienamente padrone di sé, sovrano del suo destino. Si rifugia nel bosco quando necessario, come un partigiano in territorio occupato, ma non fugge. Egli continua la sua lotta senza sosta, sapendo mutare saggiamente posizione e tattica. Diventa, quindi, fondamentale servirsi degli strumenti messi a disposizione dal nostro tempo, senza venir da questi dominati: “essere nel mondo, ma non del mondo”, citando san Giovanni.
Jünger tiene a sottolineare come la via della libertà sia oggi irta di grandi costrizioni. Essa non è un cammino felice, per quanto intrinsecamente giusto. L’asperità di questo percorso spiega perché i più optino per la costrizione. Eppure, la storia continua ad essere fatta dagli uomini liberi. Il loro sacrificio è cristico, poiché vale anche per tutti gli altri. Tale forza morale può, infatti, potenzialmente risvegliare le coscienze assopite di coloro i quali hanno abiurato alla propria volontà e ad un’esistenza significativa. Ed è proprio qui che agisce il primo volto del potere, il più palese e violento.
Terrorizzato dall’ipotesi di un’ispirazione augustea, il Leviatano cerca spasmodicamente di ridurre gli spazi d’autonomia dell’individuo servendosi della tecnica e del nichilismo per limitare quanto più possibile il sorgere di altri “no”, ispirati dal Ribelle. Ciò spiega manifestamente il generale dispiegamento massiccio di forze di polizia sempre più complesse e numerose rispetto ai secoli precedenti. L’angoscia primigenia si rivela essere, in realtà, proprio quella del potere stesso che non vuole che “cadano le maschere”. E quanto più il potere ha paura, quanto più esso si serve della sua hard power.
Per dirlo alla Jünger:
“Tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos’è la libertà. E non soltanto quei lupi sono forti in sé stessi, c’è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in branco. È questo l’incubo dei potenti.”
Tutto questo porta inevitabilmente il Ribelle a superare la paura ultima dell’uomo: la morte. È proprio sul timore per quest’ultima che gli arbìtri e le repressioni si fondano. Nel momento in cui l’uomo si disfa della più atavica delle paure “passando al bosco”, egli diviene pienamente libero. Come Jünger sottolinea, ogni autentica guida spirituale si è sempre ridotta a questa superiore capacità. Il vincitore della morte per antonomasia è, non a caso, proprio il Cristo che testimonia il Suo messaggio con l’accettazione e la sconfitta di essa.
Risulta evidente come le grandi personalità della storia che hanno trasceso le proprie epoche per divenire esempi senza tempo siano spesso martiri ed eroi. Che fosse Socrate, Cristo o un semplice studente come Jan Palach, il sangue versato da questi ribalta i rapporti di forza con il potere. Venendo meno il timore per la morte, il potere non ha più nulla su cui fare leva. Il suo dominio ha così i giorni contati.
L’Italia che fu ribelle
Le taglienti pagine di Jünger dedicate al tema della libertà e alla figura del Waldgänger hanno un significato ancora più attuale nel nostro mondo nonostante siano passati 73 anni dalla loro pubblicazione. D’altronde, le grandi menti si distinguono sempre per la capacità di entrare nell’ousia della realtà, anticipandone o cogliendone aspetti che diventano manifesti ai più solo successivamente. Se intendiamo attuare un’introspezione su noi stessi, in quanto europei, italiani e mediterranei, possiamo percepire una familiarità a questi concetti jungeriani.
Se l’Europa tutta è stata sicuramente la culla dell’”originalità individuale”, l’area mediterranea è stata un po’ l’archetipo del caos organizzato. Gli italiani hanno da sempre avuto molto a cuore il tema della libertà, di cui il periodo dei comuni ha rappresentato a tratti anche un’estremizzazione. Ma è stato con il sapere che gli italiani si sono distinti maggiormente, riuscendo più di chiunque altro ad addentrarsi nelle profondità della conoscenza. Basti pensare alla cultura umanista, alle opere dantesche, alla letteratura rinascimentale, alla teologia di san Tommaso, alla scienza di Fibonacci.
L’epoca attuale ha però appiattito la vitalità degli italiani, ormai generalmente incapaci di porsi come fucina culturale e spirituale della civiltà europea. Il Bel Paese si è fatto immobilizzare dalla paura jungeriana e dall’illusione che la sicurezza totalizzante rappresenti una “forma di progresso”. Tutt’altro, esso ne è la morte. E non solo l’Italia, bensì tutta l’Europa è incatenata in questo torpore edonista che si pone in completa antitesi rispetto all’ideale ribelle qui descritto. Il XXI secolo incarna ancora di più il territorio ostile sul quale il Ribelle dovrà muoversi.
Non tutto è però perduto. Una parte della cultura popolare, quella che Gramsci definirebbe come folklore, riesce ad opporre una qualche forma di resistenza all’asfissiante omologazione perpetrata dalla globalizzazione. Anche l’azione di diversi uomini di pensiero, lontani dai riflettori, tiene vivo quel mistero che è l’anima del popolo. Il mondo globalizzato parrebbe essere comunque ormai giunto quasi al capolinea, perlomeno nella forma in cui lo abbiamo conosciuto sinora. Il disordine globale in cui ci troviamo ora potrà potenzialmente fornire il perfetto slancio per effettuare quel “passaggio al bosco” e riabbeverarci da quella fonte da cui scorre l’essenza più pura della nostra civiltà.
Rimani sempre aggiornato seguendoci su Telegram e Instagram!