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‘Abd al-Malik è stato probabilmente uno dei califfi più importanti della dinastia omayyade e uno dei più ricordati. Ascese al trono nel 685 e vi rimase fino al 705, anno della sua morte. Durante il suo lungo regno, avviò diverse riforme per il consolidamento della nuova entità politica califfale, dirigendo ingenti sforzi sulla sua islamizzazione e arabizzazione.
Cenni sulla dinastia omayyade
Il califfato omayyade fu breve, ma denso di accadimenti. Nato nel 661, per mano di Mu’awiya, capostipite della dinastia dei Banū Umayya, fu scalzato dal potere abbaside poco meno di un secolo dopo, nel 750. Nel corso del regno omayyade, l’espansione araba raggiunse il suo picco storico. Le conquiste, già avviate nel periodo d’oro del primo califfato, quello dei quattro “ben guidati” (i rashidūn), continuarono sia a Oriente che a Occidente, da Samarcanda alla Penisola Iberica.
Ad assumere il potere furono, in successione, 14 membri del clan dei Banū Umayya, divisi in due rami: i Sufyanidi e i Marwanidi. Questi regnarono a Damasco, la capitale del nuovo califfato, precedentemente sita a Medina, e si avvalsero dell’esercito siriano per incrementare la base del loro potere. Tra i principali motivi del successo omayyade, in effetti, fu cruciale l’espansione militare che permise di conquistare vastissimi territori e di far fronte a due guerre civili (in arabo, fitna) che cambiarono per sempre le sorti del mondo islamico.
Inoltre, grazie ai califfi omayyadi furono realizzate importanti architetture, come la Cupola della roccia a Gerusalemme e la Grande Moschea di Damasco, e diedero impulso, sebbene in minor misura rispetto ai successivi usurpatori abbasidi, ad alcuni progressi in ambito scientifico e medico. Promossero anche la circolazione e la conservazione della cultura attraverso la traduzione di manoscritti in arabo.
La centralità del califfo ‘Abd al-Malik
‘Abd al-Malik fu il secondo califfo della dinastia degli omayyadi marwanidi. Egli consacrò il suoi venti anni di regno all’organizzazione amministrativa dell’Impero arabo, alla riunificazione del Califfato e alla soppressione dell’opposizione interna, segnando l’apice del potere e della prosperità omayyade.
Nonostante i suoi interessi e ideali religiosi, testimoniati anche dagli appellativi Amīr al-muʾminīn (Principe dei credenti) e Khalīfat Allāh (Califfo o vicario di Dio), ‘Abd al-Malik fu anche un abile politico. Durante la prima metà del suo regno, dovette affrontare una guerra civile contro il rivale Zubayr, autoproclamatosi califfo nella regione del Hijaz, e far fronte ad alcune rivolte locali in Siria, Egitto e Palestina. Ne uscì vittorioso: Zubayr fu sconfitto nel 692 e le sommosse vennero represse. Grazie ai trionfi di ‘Abd al-Malik, la comunità islamica poté, così, essere riunificata ancora una volta.
I meriti del Khalifa, però, coprono tanti altri ambiti, non solo di carattere politico. Tra le sue maggiori riforme, meritano menzione l’istituzione della prima moneta islamica, di cui si parlerà nel prossimo paragrafo, l’implementazione di un efficiente sistema postale (barīd), con lo scopo di tenere informato il Califfo sugli sviluppi esterni alla capitale, il progetto di costruzione e restauro delle vie di comunicazione, in particolar modo tra Damasco e la Palestina, e l’impulso dato all’architettura.
La politica di arabizzazione
Molte delle riforme attuate da ‘Abd al-Malik esercitarono un forte impatto simbolico sull’affermazione della centralità arabo-islamica dell’impero. Tra le sue prime azioni, ebbe ruolo centrale l’arabizzazione dell’amministrazione omayyade. Attraverso un decreto, il Khalifa stabilì che la lingua ufficiale nei documenti dell’impero dovesse essere l’arabo e che tutte le carte e i registri redatti in copto, greco, persiano, ebraico e aramaico dovessero essere tradotti nella lingua del Corano. L’arabo divenne, dunque, la lingua ufficiale dell’impero.
La centralità araba venne enfatizzata anche attraverso l’adozione di un nuovo sistema monetario con iscrizioni in caratteri arabi. Il nuovo conio segnalava l’emergere di un nuovo stato, con una propria identità, e lanciava un segnale di sfida a Bisanzio, altra grande potenza del tempo, la cui moneta era largamente diffusa.
L’arabo, pertanto, divenne la lingua per eccellenza dell’impero, sostituendosi a parlate come l’aramaico, ma la sua presenza non attecchì ovunque come previsto. È emblematico il caso dell’altopiano iranico, dove, a dispetto dell’imposizione dell’alfabeto arabo, il popolo conservò comunque la propria lingua persiana. Anni più tardi, intorno al X secolo, sarebbe emerso il neo-persiano, lingua dei capolavori della letteratura iraniana di Ferdowsī e di altri grandi poeti.
La costruzione dell’identità islamica
‘Abd al-Malik rappresentò un punto di svolta per la storia dell’Islam. Grazie a lui vennero definiti alcuni tratti identitari del nuovo monoteismo in ascesa, a partire dal Corano. Egli mise a disposizione della umma (comunità) islamica una nuova e definitiva “edizione” del Corano, migliorata attraverso l’aggiunta di punti diacritici (i puntini delle lettere arabe) e la vocalizzazione completa delle sure. Il Khalifa affidò il compito di mettere a punto questa “seconda edizione” del testo sacro dell’Islam al governatore del Hijaz (regione orientale della penisola araba) e dell’Iraq, al-Hajjāj.
Al califfo omayyade va anche riconosciuto il merito di aver enfatizzato il ruolo del Profeta Muhammad. Gli hadīth, ovvero, i detti e i fatti del Profeta, cominciarono a essere raccolti e organizzati nella Sunna proprio durante il suo regno. Rispetto al cristianesimo e all’ebraismo, l’Islam dunque si discostava dalle altre religioni del Libro per l’enfasi posta alla missione del Profeta Muhammad, l’ultimo dei Profeti mandati sulla terra da Dio.
Il tema dell’unità e unicità di Dio, perno comune a tutti e tre i monoteismi, veniva ulteriormente modificato attraverso la doppia testimonianza di fede (la shahāda, uno dei pilastri dell’islam) rivolta sia a Dio che al suo messaggero Muhammad. A partire dal regno di ‘Abd al-Malik i seguaci della nuova religione non furono identificati semplicemente come “credenti” (in arabo: mu’min), ma come “musulmani” (muslim), ossia come coloro i quali credevano sia all’unicità di Dio, che alla profezia di Muhammad.
La Cupola della roccia
Tra i monumenti architettonici eretti durante il califfato di ‘Abd al-Malik, la Cupola della roccia (Qubbat al-Sakhra, in arabo) riveste un’importanza primaria irrefutabile. Si tratta di uno dei primi edifici islamici mai costruiti, divenuto simbolo della vittoria del terzo monoteismo sulle religioni più antiche. Il santuario, edificato nel 691 d.C., è sito nella Spianata delle Moschee a Gerusalemme ed è un’opera architettonica di raffinata bellezza, con mosaici bizantini di un azzurro intenso e una solenne cupola d’oro.
Il monumento presenta una peculiarità che risiede nel parziale legame con tutte e tre le religioni del Libro (Ebraismo, Cristianesimo e Islam). Innanzitutto, la Cupola della roccia non può essere definita una moschea stricto sensu. La planimetria dell’edificio a pianta ottagonale rimanda, infatti, alla resurrezione, al martirium cristiano; ciononostante, non si identifica nemmeno come costruzione cristiana poiché al suo interno sono riportati significativi passaggi coranici che rigettano l’idea della trinità. Inoltre, il luogo in cui sorge, il monte Moria, riveste un ruolo importante anche per il giudaismo, poiché nella Torah è scritto che lì originerà il giudizio universale.
Il primato del santuario appartiene, tuttavia, alla religione islamica. È il luogo in cui avvenne l’ascensione in cielo di Muhammad (isrā’), narrata nella sura del viaggio notturno. Gli studiosi hanno ragione di credere che ‘Abd al-Malik concepì la Cupola della roccia come monumento-simbolo della vittoria sui cristiani e sugli ebrei all’interno di un comune contesto religioso, Gerusalemme, sede delle più antiche fedi abramitiche.
Tentando di giungere a una conclusione, il califfato di ‘Abd al-Malik è stato un momento di passaggio, fondamentale per la storia dell’Islam che definì parte della propria identità, soprattutto attraverso la rilevanza data al Profeta Muḥammad.
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