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La scrittura araba ha alle spalle una storia complessa. Dagli albori dell’Islam all’epoca moderna, essa è andata incontro a una trasformazione lunga e irregolare che l’ha resa una delle lingue più eleganti del mondo.
Basti pensare alle manifestazioni artistiche nate dalla calligrafia araba, a quegli affascinanti ghirigori che hanno riempito i muri delle strade durante i moti della Primavera Araba, o alle preziosissime pagine dei Corani custoditi nei musei di tutto il mondo, in grado di generare un piacere unico per gli occhi a ogni versetto.
Il mondo arabo, dunque, vanta un’immensa ricchezza culturale e artistica, di cui la scrittura araba è parte integrante. La storia di quest’ultima, tra l’altro, è profondamente e inevitabilmente intrecciata con la religione. Per i musulmani essa è la lingua della rivelazione divina, e questa sua natura “sacra” è il vero motivo all’origine dell’arte calligrafica araba.
Da queste premesse sorgono spontanei alcuni quesiti: a quali cambiamenti è andata incontro la scrittura araba nel corso dei secoli? Qual è il suo rapporto con i canoni di bellezza? E, come è nata l’arte calligrafica araba? Nei prossimi paragrafi si cercherà di far luce su ciascuno di questi punti.
Generalità sulla scrittura araba
Per parlare di scrittura araba è necessario innanzitutto descriverne alcune sue caratteristiche fondamentali. L’arabo si basa su un sistema consonantico, forse di origine aramaica, costituito da 28 grafemi. Pertanto, si registrano prevalentemente consonanti, a eccezione di tre vocali che trascrivono i suoni /ā/, /ī/, /ū/. A queste vocali, dette lunghe, se ne aggiungono altre tre brevi, corrispondenti ad /a/, /i/, /u/, le quali non sono sempre segnalate nel testo, ma, quando presenti, sono rappresentate da appositi segni vocalici.
La scrittura araba non contempla distinzioni tra lettere maiuscole e minuscole. Si fonda, in effetti, su un sistema corsivo costituito da caratteri che si intrecciano tra loro come se formassero parte di un unico filo che si ingarbuglia e si distende. Ogni carattere si lega, infatti, a quelli adiacenti, eccetto sei grafemi che interrompono l’unicum scrittorio.
Per scrivere in arabo, infatti, non è necessario staccare la penna del foglio: la sua punta si solleva solo quando occorrono queste sei lettere (che non si agganciano alle successive), o quando serve inserire i famosi “puntini” sopra, sotto o al centro di alcuni grafemi, chiamati in gergo tecnico “segni diacritici”.
Questa peculiarità dell’arabo deriva da lievi variazioni nella forma dei grafemi, che cambiano in base alla loro posizione (iniziale, mediana o finale) nelle parole. Infine, ma non per importanza, la scrittura araba è sinistrorsa, ovvero si traccia e si legge da destra verso sinistra, a differenza delle lingue occidentali.
Il legame con il sacro
Il momento storico a partire dal quale divenne cruciale il ruolo della scrittura araba fu la morte di Muhammad, l’ultimo Profeta dell’Islam, nel 632 d.C. La sua scomparsa rese urgente fissare la rivelazione divina che, altrimenti, sarebbe stata soggetta a pericolose alterazioni nelle trasmissioni orali. La scrittura divenne il mezzo attraverso cui conservare per sempre la parola di Allah, verbo sacro rivelato e trasmesso in arabo.
In quanto espressione diretta e assoluta della lingua di Dio, essa era, ed è, avvertita come un’entità bellissima. La calligrafia araba è vista, per citare le parole di Campanini, sommo esperto di cultura araba, come “l’arte suprema e sublime dell’islam”.
Poiché il Corano è verbo divino, esso non viene solo recitato (sarebbe più corretto utilizzare il termine “salmodiato”), ma anche reso più gradevole alla vista da un punto di vista estetico. L’arte islamica più diffusa e sentita dai musulmani, non a caso, è legata all’abbellimento del testo sacro dell’Islam. Essa deriva da un’ossequiosa adorazione religiosa. Nei secoli, in effetti, la scrittura araba è andata incontro a un progressivo perfezionamento estetico.
Riforme scrittorie e abbellimento grafico
I primi stili di scrittura contavano 17 lettere, contro le 28 attuali (29, se si considera anche il grafema hamza), e i testi non erano vocalizzati. Ciò comportava il rischio di confondere alcune lettere, oggi ben distinte grazie ai segni diacritici, e, di conseguenza, di compromettere la corretta lettura dei testi, soprattutto di quello coranico.
Si presentò, così, l’esigenza di introdurre alcune riforme scrittorie che risolvessero queste ambiguità nella lettura. Le prime conquiste arabe in epoca omayyade (661-750 d.C.) avevano portato, infatti, a un’incredibile espansione dell’Islam dall’Egitto all’India. Il consistente numero di neoconvertiti, molti dei quali non arabofoni, divenne la forza motrice di tale intento riformatore, al fine di garantire una corretta recitazione (qirā’a) del messaggio contenuto nel testo sacro dell’Islam.
Una perfetta lettura del Corano richiedeva complesse conoscenze di grammatica e di lingua araba. Tra il VII e l’VIII secolo, così, vennero finalmente introdotte delle innovazioni ad opera di Abu Aswad al-Duali, Nasr ibn ‘Asim, Yahya ibn Yamur e al-Farahidi. Comparvero i punti diacritici e i segni vocalici brevi.
Successivamente, si aggiunsero anche delle riforme estetiche. Alcuni stili grafici dell’arabo vennero canonizzati e resi proporzionati attraverso misurazioni matematiche dei grafemi. A Ibn Muqla, visir abbaside del IX-X secolo, si deve l’elaborazione di un originale sistema di standardizzazione scrittoria (dello stile naskhi) per esigenze di regolarizzazione in ambito tecnico e amministrativo.
Più attenti a curare l’aspetto estetico e artistico del tratto arabo furono, invece, Ibn al-Bawwab e Yaqut al-Musta’simi. I due calligrafi riuscirono ad addolcire i tratti grafemici e a renderli più eleganti e aggraziati, elevando la scrittura araba a veicolo consono alla trasmissione del messaggio sacro, trasformandolo in un “vestito” all’altezza del suo contenuto.
L’arte dei maestri calligrafi
La bellezza grafica dell’arabo continua a essere valorizzata tutt’oggi. Tra i maestri calligrafi che hanno regalato al mondo le opere più memorabili vanno menzionati: il marocchino Ahmed Cherkaoui, il tunisino Nja Mahdaoui, e l’iracheno Hassan Massoudy. Tra i loro meriti va anche quello di aver sperimentato una nuova fusione tra arte occidentale e arte araba.
Cherkaoui ha regalato al mondo opere coloratissime e dal profondo significato simbolico, mentre Nja Mahdaoui è stato definito il “coreografo delle lettere” per la sua capacità di creare fantasiose composizioni calligrafiche con le lettere arabe. Hassan Massoudy, infine, ha saputo coniugare la bellezza poetica all’arte grafica attraverso l’uso di delicati stili calligrafici.
Manifestazioni di arte calligrafica araba, tuttavia, non si trovano, e non vanno ricercati, solo su tela, ma anche nelle architetture, nelle sculture e nella street art. Tra gli artisti del momento si ricorda El Seed (clicca qui per l’articolo dedicato), autore di splendidi calligraffiti, ovvero di produzioni artistiche che fondono finezza calligrafica e graffiti, realizzati in tutto il mondo.
La calligrafia araba si presta, grazie alla sua potenza espressiva e alla delicatezza estetica, a molteplici impieghi in ambito artistico. È una maestria in continua evoluzione e dai prodotti eccelsi, in grado di affascinare e avvicinare al mondo arabo anche coloro che non conoscono questa affascinante lingua.
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