Contenuti
Questo articolo è disponibile anche in:
Nel punto in cui la Sicilia e la Calabria quasi si toccano, lo Stretto di Messina ha da sempre ispirato storie, leggende e racconti popolari. Tra le più affascinanti c’è quella di Scilla e Cariddi, due creature marine mostruose che, secondo la mitologia, terrorizzano sin dall’antichità i marinai che attraversavano queste acque .
Il cuore mitico dello Stretto di Messina
Scilla, secondo la mitologia greca, era una giovane donna bellissima, corteggiata da diverse divinità marine, tra cui Poseidone, Minosse di Creta e il dio marino Glauco. Nei pressi degli scogli di Zancle (l’antico nome di Messina), Scilla incontra Glauco, un pescatore trasformato in divinità marina, metà uomo e metà pesce.
Scilla, spaventata dal suo aspetto, fugge. Glauco, disperato, si rivolge alla maga Circe per chiedere una pozione che lo renda umano, ma Circe, segretamente innamorata di lui e gelosa, per vendetta, trasforma Scilla in un mostro marino. Da quel momento, la giovane assume l’aspetto di una creatura con sei teste canine e dodici zampe tentacolari e si rifugia tra le rocce sul versante calabrese dello Stretto, in attesa di aggredire chiunque osi avvicinarsi.

Cariddi, invece, era figlia di Poseidone e Gea. Per aver rubato il bestiame sacro di Eracle, viene punita da Zeus, che la condanna a trasformarsi in un mostro marino divoratore d’acqua. Tre volte al giorno ingoia il mare e lo rigetta con violenza, creando vortici giganteschi in grado di risucchiare anche le navi più robuste. Secondo la leggenda, Cariddi si nascondeva lungo la sponda siciliana dello Stretto, nei pressi dell’attuale Ganzirri, a nord di Messina.
Un mito nato per spiegare la natura
Oggi leggiamo questa leggenda come un racconto affascinante, ma è probabile che sia nata per interpretare fenomeni naturali realmente pericolosi. Lo Stretto di Messina è infatti un tratto di mare unico per morfologia: è stretto, profondo e soggetto a correnti di marea che cambiano direzione più volte al giorno. Qui si incontrano le acque del Mar Ionio e del Mar Tirreno che generano moti turbolenti, mulinelli e variazioni improvvise del livello del mare.
Per i popoli antichi, questi fenomeni erano inspiegabili. Senza strumenti scientifici, si ricorreva al mito per dare un volto e una spiegazione ai pericoli del mare. I gorghi che ancora oggi si formano a nord di Messina possono aver ispirato il personaggio di Cariddi, mentre le rocce scoscese e insidiose di Scilla richiamano bene l’agguato del mostro dalla molteplici teste.
Navigare nello Stretto, soprattutto in epoche antiche, era un’impresa rischiosa. Le imbarcazioni a remi o a vela dovevano essere condotte con grande abilità, bastava un errore per essere sbattuti sugli scogli o trascinati nel vortice. Il mito di Scilla e Cariddi si è così trasformato in una sorta di mappa immaginaria dei pericoli, che ha unito elementi naturali a una narrazione forte e duratura.

L’eco nella letteratura: da Omero a Dante
Il primo autore a raccontare il mito di Scilla e Cariddi fu Omero, nell’Odissea. Durante il viaggio di ritorno a Itaca, Ulisse è costretto a scegliere tra i due mostri. Infine, decide di passare vicino a Scilla, sacrificando sei compagni, piuttosto che affrontare i gorghi di Cariddi e rischiare la distruzione dell’intera nave. È uno degli episodi più drammatici del poema e dimostra quanto il mito fosse radicato nella cultura greca.
Anche Virgilio, nell’Eneide, riprende la leggenda. Il troiano Enea, in fuga dalla città in fiamme, attraversa lo Stretto e viene ammonito dai pericoli rappresentati dalle due creature marine.
In epoca medievale, Dante Alighieri cita Scilla e Cariddi nella Divina Commedia, trasformandoli in simboli morali: allegorie di peccati e tentazioni da cui è difficile salvarsi.
Ancora oggi, l’espressione “trovarsi tra Scilla e Cariddi” è usata per descrivere situazioni in cui ogni scelta comporta una perdita o un rischio ma, oltre la metafora, la leggenda conserva il suo valore e ci ricorda i pericoli del mare e l’abilità necessaria per affrontarli.
Una leggenda e un patrimonio folkloristico che vive ancora
Il mito di Scilla e Cariddi non è relegato ai soli libri scolastici o agli studi classici ma vive ancora oggi nella cultura popolare, nei racconti orali, nelle tradizioni locali e anche nel turismo.
A Scilla, il pittoresco borgo di Chianalea si affaccia direttamente sul mare, proprio nel punto in cui, secondo la leggenda, si nasconde la creatura. Le case costruite sugli scogli e il rumore delle onde ricordano, nelle giornate più tempestose, il potere inquietante del mare.
Sul lato siciliano, nella zona di Ganzirri, i pescatori locali conoscono bene le correnti e i vortici che si formano con il cambio della marea. Anche se oggi nessuno crede più ai mostri marini, la leggenda continua a essere raccontata ai bambini, soprattutto nelle famiglie legate alla pesca. È un modo per trasmettere rispetto per il mare, ma anche per mantenere viva una memoria collettiva legata a un territorio unico. Inoltre, la fontana di Nettuno di Messina, in Piazza dell’Unità d’Italia, raffigura ai lati di Nettuno i due mostri marini Scilla e Cariddi incatenati ed è un’allegoria della forza fisica e morale della città che doma le avversità.
Negli ultimi anni, il mito è stato riscoperto in chiave turistica: sono stati creati percorsi tematici, visite guidate in barca, spettacoli teatrali e installazioni artistiche ispirate ai due mostri. A Messina e a Scilla si trovano murales, pannelli esplicativi e persino eventi estivi dedicati alla leggenda. Il racconto di Scilla e Cariddi continua così a unire mito, natura e identità locale, affascinando ancora oggi chi attraversa lo stretto.
Rimani sempre aggiornato seguendoci su Facebook e Instagram!












