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Nel Mediterraneo, le spezie raccontano di storia, identità e scambio. Ogni aroma racconta un incontro tra civiltà diverse, antiche: il vento che soffiava sulle navi fenicie, le rotte arabe che attraversavano il deserto, i mercati brulicanti di Tunisi, Smirne e Venezia.
Il crocevia del gusto
Molto prima che Vasco da Gama aprisse la via delle Indie, il Mediterraneo era già la culla del commercio delle spezie. Dall’Oriente arrivavano pepe, cannella e zenzero, che trovavano nei porti di Alessandria, Tiro e Costantinopoli le prime tappe prima di raggiungere le coste europee. Le navi veneziane caricavano sacchi profumati che, risalendo l’Adriatico, avrebbero raggiunto le corti italiane e francesi.
Ma non tutte le spezie venivano da lontano. Alcune nascevano proprio sulle sponde del mare nostrum: il timo selvatico delle isole greche, l’origano siciliano, il cumino del Maghreb. Altre, come l’alloro e il rosmarino, non erano spezie nel senso stretto, ma erbe dal profumo intenso, amate e commerciate con lo stesso valore degli aromi esotici. Queste piante aromatiche, adattate a climi aridi e terreni salmastri, sono la prova vivente di una biodiversità straordinaria che unisce i tre continenti toccati dal Mediterraneo.

Tra le spezie mediterranee più preziose spicca lo zafferano, coltivato in Grecia, Spagna e Italia. Gli antichi Minoici ne conoscevano già l’uso, come dimostrano gli affreschi di Cnosso che raffigurano giovani intenti a raccoglierne i fiori. Nel tempo, è diventato simbolo di prosperità e raffinatezza, tanto da essere chiamato “oro rosso”.
Accanto a lui, cumino e coriandolo occupano un posto d’onore nella cucina nordafricana e mediorientale. Spezie calde, dal profumo terroso e leggermente agrumato, venivano usate non solo per insaporire i piatti ma anche per le loro proprietà digestive e purificatrici. In Egitto, il cumino era considerato sacro.
In Libano, Palestina e Siria si diffonde l’uso del sumac, spezia dal colore rubino e dal gusto acidulo, ricavata dalle bacche essiccate di un arbusto locale. Insieme al timo selvatico e al sesamo, entra nella composizione del celebre za’atar, miscela che racconta l’anima del Levante: semplice, aromatica e profondamente legata alla terra.
Spezie sacre e leggende
Nel mondo antico, le spezie avevano anche un valore simbolico e rituale. Si bruciavano nei templi greci e romani come offerte agli dèi, si mescolavano a unguenti e balsami usati nei riti funebri egizi, si spargevano lungo le strade durante le processioni.
Il profumo era considerato un ponte tra umano e divino, un linguaggio invisibile capace di elevare lo spirito. Inevitabilmente, spezie e piante si intrecciavano profondamente con la narrazione culturale dei luoghi cui erano legate.

Secondo la tradizione, Afrodite avrebbe profumato il mare con petali e aromi al suo passaggio, facendo nascere il rosmarino dalla schiuma delle onde. L’alloro era invece sacro ad Apollo, simbolo di profezia e purezza. Un mito racconta che il giovane Amaracus, profumiere nella corte di Ciniras a Cipro, precipitò accidentalmente con gli unguenti che trasportava e, per quel gesto distratto, fu trasformato nella pianta della maggiorana. Un altro mito racconta di Crocus, un mortale innamorato della ninfa Smilax: respinto, fu mutato in fiore di zafferano (crocus) dai dèi.
Nelle leggende arabe, invece, la cannella cresceva nei Giardini del Paradiso, custodita da serpenti e uccelli mitici. In Egitto, d’altra parte, lo zafferano appare documentato nei tessuti funebri e nei profumi dell’élite e sarebbe stato usato in unguenti e profumi già in epoche tolemaiche. Si racconta che Cleopatra facesse bagni con zafferano per “incrementare” il suo fascino erotico: dunque un uso “rituale” e simbolico anche in contesti privati.
Dal versante archeologico arrivano anche prove concrete dell’uso delle spezie nei riti funerari. Nella tomba TT8 di Kha e Merit, scoperta intatta a Deir el-Medina, gli studi botanici hanno rivelato la presenza di semi di cumino e bacche di ginepro, deposti come offerte aromatiche accanto agli alimenti del corredo.
Le spezie nella cucina contemporanea
Oggi il Mediterraneo continua a essere un laboratorio di sapori. Chef e produttori riscoprono le spezie locali, intrecciando tradizione e innovazione: dalle saline di Trapani dove si produce il sale aromatizzato con erbe selvatiche, alle aziende greche che coltivano origano e maggiorana secondo metodi biologici, fino alle cooperative tunisine che esportano harissa, la celebre salsa rossa a base di peperoncino, aglio e cumino.
Dietro ogni barattolo, c’è una storia di attesa, di fatica, di stagioni, di territorio. Un filo che lega chi coltiva la terra e chi, a tavola, la assapora.

Le spezie mediterranee rappresentano anche un importante tassello della biodiversità alimentare. In un periodo segnato dalla perdita delle varietà locali, la riscoperta delle piante aromatiche autoctone è un atto di tutela culturale e ambientale.
Progetti di agricoltura sostenibile, come quelli attivi in Andalusia, in Sicilia e nel Peloponneso, promuovono la coltivazione di specie resistenti alla siccità, favorendo la rigenerazione dei suoli e la salvaguardia degli ecosistemi rurali.
Dal pepe siriano al finocchietto selvatico, dal sumac libanese al rosmarino di Calabria, ogni spezia racconta un frammento del Mediterraneo, un sapore particolare. Sono il ricordo vivo di un mare che profuma di storia e di riscoperta, dove il gusto diventa ancora una volta un modo per aprirsi al nuovo, all’inesplorato.
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