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Dopo il nostro primo articolo riguardo la nascita del sionismo, il nostro breve viaggio attraverso la travagliata storia della Palestina contemporanea continua. Questa volta si parlerà dei principali conflitti che hanno interessato Israele e i Paesi arabi dal 1948 agli anni ’80.
L’attuale escalation a Gaza, consistente nell’avvio di una vera e propria invasione di terra da parte dell’IDF, si va ad inserire in una lunga serie di scontri armati di cui la storia è stata testimone. Il copione appare sempre lo stesso: da una parte Israele con la sua volontà di stabilire un dominio incontrastato sui territori palestinesi e dall’altra il mondo arabo intento a cercare una vittoria incondizionata per riappropriarsi della Terra Santa.
La lotta primigenia d’Israele: la Guerra del 1948
L’indipendenza d’Israele fu inaugurata icasticamente da una guerra. Il 14 maggio 1948 i britannici abbandonarono ufficialmente la Palestina sotto l’egida dell’ONU. La regione sarebbe stata divisa tra un territorio palestinese ed uno ebraico, con Gerusalemme sotto amministrazione internazionale. Tale piano di spartizione era stato approvato dalla Commissione Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina (UNSCOP) nel 1947, la quale era stata, però, boicottata sin da subito dai palestinesi.
Questo piano non vide comunque mai la luce: il 15 maggio 1948 gli eserciti di Egitto, Giordania, Siria, Libano ed Iraq attaccarono Israele con l’obiettivo di eliminare l’entità sionista. Inizialmente Israele stette sulla difensiva, incapace di rafforzarsi a causa dell’embargo sugli armamenti imposto dalle Nazioni Unite. L’inferiorità numerica e l’eterogeneità della società israeliana del dopoguerra giocarono a grande vantaggio delle armate arabe.
I fedayn palestinesi riuscirono ad assediare Gerusalemme Ovest, mentre l’Esercito di Liberazione penetrava in molti insediamenti giudaici della Galilea. La svolta si ebbe con il cessate il fuoco imposto dall’ONU l’11 giugno 1948. Ciò permise all’influente élite sionista di iniziare ad esercitare forti pressioni sui governi dei suoi futuri alleati occidentali.
Nonostante l’embargo, le truppe israeliane furono rifornite di fucili, cannoni, carri armati e mitragliatrici e gli effettivi furono portati a ben 65.000. L’ago della bilancia pendeva ormai nettamente dalla parte dei sionisti che contrattaccarono su tutti i fronti con successo. Le trattative per l’armistizio iniziarono nel gennaio 1949. Israele ampliò il suo territorio del 21% ai danni dei confini palestinesi.
L’Egitto occupò la Striscia di Gaza, mentre alla Transgiordania spettò la Cisgiordania. Gli unici perdenti furono proprio i palestinesi: espulsi dai territori ora conquistati dagli ebrei, videro anche la cessazione della propria sovranità con l’occupazione di Gaza e Cisgiordania. Questo primo confronto militare ebbe delle forti ripercussioni sulle giovani entità statali arabe.
La Siria subì ben tre colpi di Stato militari nel solo ’49. Il re giordano Abdullah fu assassinato nel ’51, probabilmente a causa di una presunta collusione con i vertici israeliani circa una spregiudicata spartizione della Palestina tra i due Stati. Il presidente libanese Chamoun riuscì a superare un tentato golpe nel ’52, mentre l’Egitto esperì la fine della monarchia con la salita al potere del movimento dei Liberi Ufficiali.
I palestinesi apostrofarono la guerra del ’48 con il termine di “al-naqba” (catastrofe). Tale sviluppo storico ha continuato ad evocare per decenni nei Paesi arabi un forte senso di revanchismo, alimentando la necessità di lavare l’onta della catastrofe. Israele passò dall’essere un corpo alieno a nemesi per eccellenza del mondo arabo.
La fine degli imperi europei: la crisi di Suez
Era solo questione di tempo prima che la guerra divampasse nuovamente nella regione. Tra i vari rivolgimenti in seguito al conflitto del ’48, l’Egitto fu investito dal cambiamento più importante. Il re Farouk era stato destituito nel ’52 e il Paese delle piramidi era ora in mano a Gamal Abdel Nasser. Carismatico, energico e determinato, la sua politica di non-allineamento ed i suoi appelli ad un socialismo arabo lo avevano reso il beniamino del popolo e il principale leader del Medio Oriente.
Parte dell’establishment israeliana vide di buon occhio questo cambio di vertice, speranzosa di ottenere una qualche base per la normalizzazione dei rapporti diplomatici. Non era dello stesso avviso l’ex Primo ministro israeliano, David Ben Gurion, che si atteneva all’assioma secondo cui gli arabi comprendessero “solo la lingua della forza”.
Gurion deteneva ancora un’enorme influenza nei circoli del potere e non si astenne dall’esercitarla. Tel Aviv, infatti, si mosse rapidamente per minare la credibilità del nuovo leader panarabista egiziano. Nel luglio 1954, un gruppo di agenti israeliani agì in collaborazione con ebrei egiziani per attaccare diverse proprietà britanniche ed americane. L’obiettivo era quello di far ricadere la colpa sul popolo egiziano e raffreddare i rapporti tra Il Cairo e l’Occidente.
Questa azione passò alla storia come “Affare Lavon” e divenne tanto famosa quanto fallimentare. Ciò ebbe l’unico risultato di avviare una spirale che portò Egitto e Israele sull’orlo di una nuova guerra. Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti si erano ormai allineati a Tel Aviv per disparati motivi. Parigi mirava ad eliminare Nasser, reo di sostenere lo sforzo degli algerini nella propria guerra d’indipendenza contro le truppe francesi.
Londra era preoccupata del suo predominio sulla produzione di petrolio nella regione, mentre Washington non vedeva di buon occhio le recenti forniture militari cecoslovacche ottenute da Nasser all’indomani dell’Affare Lavon. La situazione divenne quindi un gioco a somma zero. Gli Stati Uniti procedettero con il cancellare i finanziamenti alla diga di Assuan, fulcro della politica modernizzatrice di Nasser.
Questo avviò una reazione a catena che vide la nazionalizzazione del canale di Suez il 26 luglio 1956 da parte del governo per ottenere i fondi necessari alla continuazione del progetto della diga. Questo provocò l’estromissione delle navi francesi e inglesi, ora impossibilitate a passare rapidamente dal Mediterraneo all’Oceano Indiano.
Parigi e Londra si videro minacciate, poiché la perdita della gestione del canale equivaleva all’incapacità di essere collegati con molti dei propri possedimenti coloniali. A settembre, Nasser chiuse anche gli stretti di Tiran, tagliando fuori così Israele dal Mar Rosso. Ogni attore in campo aveva ora il proprio casus belli.
Ad ottobre, Francia, Gran Bretagna e Israele si accordarono per avviare un’invasione coordinata dell’Egitto. Il 29 ottobre 1956 si aprirono le danze come da programma. L’esercito ebraico invase il Sinai, raggiungendo il canale di Suez il giorno successivo. Parigi e Londra mandarono un ultimatum ad entrambe le parti, ottenendo il preventivato rifiuto categorico da parte del leader egiziano.
Iniziarono così i bombardamenti anglo-francesi contro aeroporti e infrastrutture, mentre i paracadutisti si preparavano all’azione. Il conflitto, però, venne stroncato sul nascere da parte delle forti pressioni americane. L’ONU condannò l’operato dei tre Paesi, dando un forte smacco al prestigio di Londra e Parigi. Israele ne uscì in realtà rafforzata, avendo dimostrato la sua forza militare.
Gli USA avevano tutti gli interessi a disinnescare un conflitto che avrebbe turbato le imminenti elezioni americane e distolto l’attenzione mondiale dall’insurrezione ungherese. Inoltre, essi non potevano tollerare una politica di potenza pienamente indipendente da parte di Francia e Gran Bretagna. La crisi di Suez fu la pietra tombale degli ultimi due imperi europei, i quali compresero la propria incapacità di agire militarmente al di fuori del beneplacito americano.
Il deciso intervento americano fu corrisposto dal benestare della stessa Unione Sovietica, che vedeva altrettanto di cattivo occhio un’azione deliberata e indipendente da parte di terzi attori europei. Le due superpotenze non ebbero remore a coalizzarsi per difendere il proprio dominio incontrastato sul mondo. La competizione dualistica della Guerra Fredda, d’altronde, giovava ad entrambi i contendenti. Venne così a rafforzarsi la totale subalternità dell’Europa a potenze straniere.
Da volitivo centro del mondo il continente europeo divenne definitivamente confine e succube periferia di due weltanschauung inconciliabili con il vero ethos europeo. Il declino francese e inglese creò un grande vuoto di potere in Medio Oriente a seguito dei fatti di Suez. Questo venne colmato rapidamente da Stati Uniti ed URSS che poterono così coartare i Paesi limitrofi alla loro rispettiva logica unipolare di mondo che, per quanto divergente in superficie, era l’una funzionale all’altra.
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