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Tra le strade di Alessandria d’Egitto, nacque una donna destinata a diventare simbolo di libertà e ragione: Ipazia. In un periodo storico fragile, in cui la conoscenza era già sotto assedio. Filosofa, matematica e astronoma, divenne un simbolo di libertà intellettuale: vittima della violenza religiosa che iniziava a scuotere l’Impero.
Alessandria: crocevia di saperi e tensioni
Alla fine del IV secolo d.C., Alessandria era ancora uno dei grandi centri del sapere Mediterraneo, punto d’incontro tra la cultura greca, egiziana e cristiana. Nella sua celebre biblioteca e nel Museo si studiavano filosofia, matematica e astronomia. Tuttavia, al suo esterno, le tensioni religiose crescevano rapidamente.

Nata probabilmente intorno al 370 d.C., Ipazia era figlia del matematico Teone di Alessandria, autore di commentari a Euclide e Tolomeo. Le fonti concordano nel descriverla come donna colta, eloquente e dotata di grande carisma. Pur non essendo cristiana, Ipazia era nota per la sua tolleranza nei confronti dei cristiani: ebbe molti studenti cristiani, fra cui Sinesio di Cirene, che in seguito divenne vescovo di Tolemaide. Le fonti riportano che Ipazia partecipava attivamente alla vita cittadina e appariva in pubblico davanti ai magistrati, segno della sua autorità e della stima di cui godeva.
Fino alla fine della sua vita, Ipazia consigliò Oreste, prefetto d’Egitto, che si trovava in conflitto con il vescovo Cirillo di Alessandria. Accusata di ostacolare la riconciliazione tra i due, furono proprio queste le circostanze che condussero poi al suo assassinio.
Il pensiero e la scienza
Ipazia era esperta di matematica, astronomia e filosofia: secondo le fonti scrisse opere e commentari su Apollonio, Diofanto e Tolomeo, testi che purtroppo non sono sopravvissuti fino ad oggi. Avrebbe contribuito a perfezionare strumenti astronomici come l’astrolabio ed il planisfero, e costruì un idroscopio per l’allievo Sinesio.
Nei frammenti delle sue lettere si ravvisa il ruolo centrale che aveva come maestra e guida intellettuale. Sinesio stesso descrive Ipazia come “madre, sorella e maestra in tutto quello che è bello e nobile”. Gli storici concordano tutti nel definirla una donna colta, brillante, più del padre, che superò in quanto conoscenza degli astri.
Secondo Socrate Scolastico, Ipazia era considerata l’unica erede della corrente platonica interpretata da Plotino ad Alessandria; scrive che, dopo la morte di Plotino, l’unica figura rimasta capace di trasmettere quel sapere in quella scuola era proprio Ipazia.

Dipinto a olio del 1889 del pittore svedese Julius Kronberg. Raffigura Ipazia di Alessandria come figura solenne e idealizzata, con tunica chiara e sguardo rivolto verso l’alto, simbolo della filosofia e della sapienza antica.
Il neoplatonismo, corrente che cercava di conciliare la filosofia di Platone con la ricerca della verità divina.
La tragedia dell’assassinio di Ipazia
Da quando l’imperatore Teodosio I aveva proclamato il cristianesimo religione unica dell’Impero, il potere ecclesiastico si era radicato nelle città e stava soffocando ciò che restava del paganesimo. In questo clima, nel marzo del 415, una folla di cristiani, forse guidata da monaci detti parabolani, la assalì.
Le fonti raccontano che la tirarono giù dal suo carro, trascinandola fino a una chiesa, dove con cocci le strapparono i vestiti, sottoponendola ad atroci torture. Infine, ne bruciarono i resti in un luogo detto Cinerone.
Socrate Scolastico denuncia l’accaduto e indica Cirillo come “mandante morale” dell’omicidio. Secondo le cronache, il prefetto Oreste avrebbe denunciato l’accaduto all’imperatore. Purtroppo, l’azione non ebbe un seguito giudiziario: l’inchiesta sarebbe stata archiviata, forse anche per pressioni politiche. Un inazione che è stata duramente criticata dai posteri.
Gli storici concordano nel vedere nella sua morte il simbolo del declino della cultura classica e del prevalere dell’intolleranza: un punto di non ritorno nella storia della città.
Dopo la sua morte, Ipazia fu ricordata come martire del pensiero libero. Nel corso dei secoli, la sua figura venne reinterpretata da filosofi e intellettuali: per Voltaire divenne il simbolo dell’oscurantismo religioso; per Carl Sagan la prima martire della scienza.
Gli studi moderni, come quelli di Maria Dzielska e Edward Watts, hanno restituito un ritratto più sobrio e realistico. Una filosofa pienamente inserita nel suo tempo, capace di unire la ricerca scientifica all’insegnamento morale e civico.
Ipazia continua a ispirare: nel Mediterraneo, crocevia di culture, la sua voce interroga ancora sulla libertà del sapere. La sua memoria resta un invito a porsi domande e a cercare il dialogo.
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