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Scoperti sandali più antichi dell’Eurasia: hanno 6.200 anni

Rinvenuti in una grotta spagnola, i sandali d'erba risalenti al Neolitico sono i più antichi dell'Eurasia e testimoniano le abilità manuali dei nostri avi.

Simona Rubino by Simona Rubino
23 Aprile 2024
in Storia
Reading Time: 5 mins read
A A
sandali

Fonte: historia.nationalgeographic.com.es - Susana Vicente Galende / Proyecto MUTERMUR

Contenuti

  • Un salto nel passato di oltre 6.000 anni
  • La scoperta e le razzie
  • Dal Neolitico al Mesolitico: il nuovo studio
  • Sandali d’erba intrecciata: testimonianze di un’abilità antichissima
  • La conservazione perfetta

Una sensazionale scoperta avvenuta in Andalusia nel XIX secolo ci riporta indietro nel tempo di oltre 6.000 anni. Nella grotta dei pipistrelli di Albuñol fu rinvenuto un tesoro archeologico unico nel suo genere. Tra gli oggetti ritrovati, spiccano dei sandali d’erba intrecciata antichissimi che, nonostante la natura decomponibile del materiale, si sono conservati perfettamente: sono le più antiche testimonianze di calzature in tutta l’Eurasia.

La scoperta di questo giacimento archeologico non è avvenuta di recente, ma risale a ben due secoli fa. Tuttavia, i reperti furono esaminati per la prima volta solo negli anni ’70 del secolo scorso, e la loro origine venne ricondotta al periodo neolitico. Allora, perché si è tornato a parlare con insistenza di questa grotta e dei suoi artefatti?

A riaccendere l’entusiasmo sul tema è stato l’egregio lavoro di un team di studiosi, che dopo aver sottoposto a una seconda analisi i reperti della cueva spagnola, ha rilevato un incredibile gap temporale circa la datazione precedentemente stimata. L‘errore nei calcoli è di circa 2.000 anni!

Lo studio condotto apre, dunque, la strada a nuove riflessioni: prima dell’avvento dell’agricoltura, durante il Mesolitico, l’uomo era capace di realizzare oggetti di grande complessità tecnica. Si presenta, così, su un piatto d’argento un’opportunità unica per studiare le società del passato.

Un salto nel passato di oltre 6.000 anni

Il corredo ritrovato nella grotta andalusa comprende 76 oggetti di materiali decomponibili (perlopiù, legno, canna e fibre vegetali), oggi distribuiti tra tre musei archeologici e antropologici di Madrid e Granada. Oltre ai sandali (che ammontano a una ventina di unità), sono state portate alla luce numerose ceste e arnesi realizzati con canna e sparto, una pianta erbacea dalla quale si ricavano fibre molto resistenti.

I pezzi della grotta sono antichissimi. In base alle nuove stime sopra accennate, ottenute grazie a una tecnologia all’avanguardia, l’origine degli artefatti rinvenuti si colloca tra le ere dell’Olocene iniziale e medio, ovvero, dal 7500 al 4200 a.C. circa.

Secondo il recente studio, i sandali della grotta spagnola sarebbero, così, le calzature più antiche mai ritrovate in Europa: vanterebbero 6.200 anni. Prima di questa pubblicazione, il “record preistorico” era detenuto da un paio di scarpe di cuoio ritrovate in Armenia, con 5.500 anni di età. In merito alle ceste, invece, si hanno testimonianze ben più antiche ad Alicante, addirittura di 12.500 anni, ma il livello di conservazione e la varietà tecnica e decorativa degli esemplari qui oggetto di discussione sono di imparagonabile perizia.

La scoperta e le razzie

Quando è avvenuto il ritrovamento degli artefatti? La loro storia si intreccia, naturalmente, a quella della grotta dei pipistrelli (cueva de los murciélagos, in spagnolo). Il primo accesso nella caverna, dopo millenni, avvenne nel 1831, grazie a un proprietario terriero che la convertì in una preziosa risorsa da cui estrarre l’abbondante quantità di fertilizzante depositatasi (la caverna era, infatti, ricoperta di guano di pipistrello).

Più tardi una compagnia mineraria avviò dei lavori di esplorazione finalizzati alla ricerca della galena, un minerale ricco di piombo. Si scoprirono così i reperti archeologici: tra essi non vi erano solo quelli già elencati, ma anche 68 resti umani semi-mummificati, un ricco corredo funebre e, persino, un diadema d’oro su uno dei corpi ritrovati.

Il tesoro della grotta venne profanato. Molti artefatti furono saccheggiati e distribuiti alla popolazione locale; altri subirono un destino anche peggiore: furono usati come combustibile per generare, banalmente, calore. Se non fosse stato per l’archeologo Manuel de Góngora y Martínez, che nel 1967 raccolse gli ultimi oggetti rimasti e li affidò ai musei di Madrid e Granada, probabilmente il numero dei reperti si sarebbe ridotto ulteriormente, a detrimento delle ricerche scientifiche.

Dal Neolitico al Mesolitico: il nuovo studio

Quali sono gli ultimi studi condotti sui reperti della grotta dei pipistrelli? La ricerca rientra all’interno del progetto Mutermur, che si pone l’obiettivo di valorizzare e diffondere informazioni sul patrimonio archeologico contenuto all’interno della caverna andalusa.

L’articolo, dal titolo: The earliest basketry in southern Europe: Hunter-gatherer and farmer plant-based technology in Cueva de los Murciélagos (Albuñol), è stato divulgato alla fine di settembre sulla rivista scientifica Science Advances. La pubblicazione è frutto di un lavoro congiunto tra più di 20 professori universitari ed esperti in diverse discipline afferenti ai campi dell’antropologia, della storia, dell’archeologia e della geologia.

Servendosi dell’avanzato metodo di analisi del cabonio-14 (noto anche come metodo di radiocarbonio), gli studiosi hanno analizzato 14 dei 76 artefatti conservati e le relative schede di analisi sono state comparate con quelle analizzate negli anni ’70.

Lo studio condotto ha mostrato che gli artefatti, in realtà, non appartengono solo al periodo neolitico, ma anche al Mesolitico. Sarebbero coinvolte, pertanto, due fasi cruciali della storia umana. Alcuni oggetti risalgono ai tempi in cui la Penisola Iberica era abitata da popolazioni di raccoglitori e cacciatori, tra il 7680-7360 e il 7480-7100 a.C., mentre altri sono il prodotto di popoli più organizzati, i primi allevatori e agricoltori che vissero tra il 5420-5070 e il 4390-4070 a.C.

Sandali d’erba intrecciata: testimonianze di un’abilità antichissima

È, pertanto, sorprendente pensare che delle popolazioni primitive, ancora non avvezze alla pratica agricola, siano state capaci di creare oggetti di fattura tanto complessa. L’erba utilizzata per la loro realizzazione veniva schiacciata e successivamente lavorata e intrecciata attraverso un processo complesso, nient’affatto scontato. L’abilità manuale nella lavorazione di questi materiali richiedeva una certa perizia, motivo per il quale le teorie semplicistiche sulle società di inizio Olocene non possono più essere ammesse.

A tal proposito, uno degli autori dello studio pubblicato su Science Advance, Francisco Martínez Sevilla, ricercatore del Dipartimento di Preistoria dell’Università di Alcalá, ha affermato in un comunicato stampa che: ”the new dating of the esparto baskets from the Cueva de los Murciélagos of Albuñol opens a window of opportunity to understanding the last hunter-gatherer societies of the early Holocene. The quality and technological complexity of the basketry makes us question the simplistic assumptions we have about human communities prior to the arrival of agriculture in southern Europe. This work and the project that is being developed places the Cueva de los Murciélagos as a unique site in Europe to study the organic materials of prehistoric populations”.

Lo studio dei sandali è potenzialmente in grado di fornire informazioni dirette e indirette sulla popolazione che li ha indossati. Affidandosi alle descrizioni dell’archeologo Góngora succitato, i corpi scoperti nella grotta furono sotterrati insieme alle calzature. Alcune di queste scarpe presentano segni di usura, mentre altre sembrano intatte e suggeriscono un uso specifico legato a pratiche funebri. Purtroppo, però, a oggi si ignora la precisa provenienza geografica degli artefatti.

La conservazione perfetta

Resta da sciogliere un ultimo dubbio: come è possibile che i sandali e le ceste in materiale organico non si siano decomposti dopo millenni? La risposta a questo incredibile, e anomalo, stato di conservazione risiede nelle caratteristiche dell’ambiente che li ha custoditi e “protetti” dalle intemperie esterne: la grotta stessa.

Questa singolare caverna ha creato le condizioni climatiche perfette per la preservazione degli artefatti preistorici, grazie alla totale assenza di umidità e al ricircolo di aria fresca e secca. Ciò ha frenato la proliferazione dei batteri che si nutrono di materia organica, de facto impedendo che i sandali e le ceste si decomponessero.

Una fortuita coincidenza di fattori ha così creato l’ambiente ideale per “l’ibernazione” dei reperti: clima della zona favorevole, topografia, e morfologia stretta e profonda della grotta. La caverna dei pipistrelli, dunque, è uno dei migliori siti per la preservazione di materiali organici per disseccazione dell’Europa meridionale e, insieme a pochi altri luoghi nel Mediterraneo con le medesime, o analoghe, condizioni climatiche e morfologiche, ha restituito al mondo tesori di inestimabile importanza archeologica.

 

 

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Specializzata in Lingue e Letterature Comparate e amante delle culture straniere. Nutre una grande passione per l'arabo e la didattica delle lingue.

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