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al-Hakim e Sitt al-Mulk: luci e ombre al palazzo del califfo

al-Hakim, sesto califfo della dinastia fatimide e Sitt al-Mulk, la principessa più potente dell'epoca: un ventennio di trame e ombre, e di misteri irrisolti.

Maya Rao by Maya Rao
22 Aprile 2024
in Storia
Reading Time: 4 mins read
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La moschea di al-Hakim.

Foto di Francisco Anzola.

Contenuti

  • L’ascesa di al-Ḥākim
  • Il rapporto con Sitt al-Mulk
  • La fine di al-Hakim

Questo articolo è disponibile anche in: Inglese

Non tutte le storie si svolgono in piena luce: alcune di esse serbano misteri che, sino al giorno d’oggi, restano irrisolti, avvolti da fitte ombre. Tra di queste, certamente, figura quella di al-Ḥākim bi-Amr Allāh, sesto califfo della dinastia Fatimide, il cui regno durò dal 996 al 1021.

A questo personaggio storico è strettamente legata la principessa Sitt al-Mulk, sua sorellastra che, nel momento del declino del regno del fratello, divenne una delle donne più potenti dell’epoca. Come avvenne tale ascesa al potere? Quali misteri sono legati a queste due figure? Quale fu la fine del “califfo matto”, le cui folli restrizioni gli valsero il soprannome di “Nerone dell’Islam”?

L’ascesa di al-Ḥākim

La storia del regno di Abū ʿAlī Manṣūr, vero nome del califfo, ha un inizio rocambolesco. Figlio della terza moglie del califfo al-Aziz Billah, visse un’infanzia relativamente serena; venne spezzata, tuttavia, dall’improvvisa malattia del padre. In pochi giorni, il regnante venne spezzato da dolorosi calcoli; Abū ʿAlī ricevette la notizia della scomparsa del padre mentre giocava, non sospettando del grave accadimento: a soli undici anni, nel 996, divenne il sesto califfo della dinastia fatimide, troppo giovane per regnare autonomamente.

Il giovanissimo monarca prese il nome di al-Ḥākim bi-Amr Allāh (“regnante per ordine di Dio”) e venne affidato alle cure di Abū’l-Futūh Barjawān al-Ustādh, un eunuco che divenne in poco tempo primo ministro e poi vero e proprio reggente per il califfo bambino.

Con alleati potenti e tutto il potere in mano, Barjawan si lasciò presto sfuggire dalle mani il controllo sul giovane califfo, che iniziò a stancarsi dei suoi modi di fare: Barjawan continuava a trattare come uno studente quello che, a tutti gli effetti, era il suo re. Per questo motivo, quest’ultimo lo fece assassinare nell’anno 1000: cominciarono così, per il califfo ormai quindicenne, circa vent’anni di regno incontrastato.

Il rapporto con Sitt al-Mulk

Il regno di al-Hakim viene ricordato come un’epoca di forte squilibrio, se non di terrore. Il “Nerone dell’Islam” rivelò ben presto la sua poca tolleranza nei confronti di ebrei e cristiani, gettando le fondamenta sulla base delle quali si sarebbero ben presto avute le prime Crociate. Memorabili sono le sue campagne di distruzione verso gli edifici sacri, dalle sinagoghe fino ad uno degli eventi storici più celebri della storia del cristianesimo, la distruzione della chiesa del Santo Sepolcro nel 1009, luogo costruito sui luoghi della passione di Cristo.

Non solo per motivi religiosi, il regnante creò regole sempre più stringenti: dal divieto di cantare in pubblico fino alla segregazione delle donne in casa, alle quali veniva permesso di uscire solamente durante le preghiere notturne del mese di Ramadan, a patto che la loro presenza fosse annunciata da un giovane recante con sé un fanous, le lanterne tipiche di tale periodo di preghiera e digiuno, divenute ormai un vero e proprio simbolo.

Tale periodo di paura e destabilizzazione portò sempre più avanti una figura che, fino ad allora, aveva preferito restare nell’ombra: Sitt al-Mulk. Sorellastra di al-Hakim, di quindici anni più grande, la principessa fatimide nasceva da una incredibile storia d’amore: quella tra il califfo al-Aziz Billah e una donna conosciuta comunemente sotto il nome di al-Sayyida al-Aziziyya (“la signora di al-Aziz”), schiava cristiana che si rifiutò di convertirsi all’Islam, ma che fu amata profondamente dal regnante, che amò a sua volta profondamente la figlia che ebbero insieme.

Sitt al-Mulk, per amore, al momento della morte del padre, tentò di far insediare un cugino al posto del piccolo al-Hakim. Il piano non riuscì: la principessa allora fece del suo meglio per mantenere pacifici i rapporti col fratellastro; sono infatti noti gli scambi di ricchi doni tra i due, così come il tempestivo avviso di Sitt al-Mulk di un tentativo d’assassinio nei confronti del giovane califfo.

Ma le politiche sempre più stringenti del califfo portarono, pian piano, alla separazione tra i due. Ancor di più, al-Hakim iniziò a fidarsi sempre meno di chiunque, sospettando persino i suoi generali, impaurito che potessero mostrare la propria fedeltà alla sorellastra. L’atto che separò totalmente i due fratellastri fu la decisione del califfo di nominare come erede un cugino piuttosto che il suo stesso figlio: la principessa accolse nel suo palazzo il bambino e la madre, suscitando l’ira di al-Hakim.

La fine di al-Hakim

La situazione divenne sempre più instabile fino all’inizio 1021: la notte del 13 febbraio, al-Hakim sparì improvvisamente. Pochi giorni dopo, furono trovate tracce di sangue sulla sua cavalcatura e su alcuni dei suoi vestiti: per questo motivo, il “califfo matto” venne dichiarato morto, e il figlio ʿAlī divenne regnante con il nome di al-Ẓāhir li-Iʿzāz Dīn Allāh.

Molto giovane anche lui, la figura di reggente alla quale venne affidato non fu altri che sua zia, la principessa Sitt al-Mulk: per questo motivo, la donna divenne potente alla pari di un califfo, una posizione alla quale una donna dell’epoca difficilmente avrebbe potuto aspirare. Molte delle restrizioni del fratellastro sparirono: alle donne fu concesso di tornare a uscire, e fu consentita la ricostruzione dei luoghi di culto distrutti per ordine di al-Hakim.

La reggenza della principessa, tuttavia, non durò a lungo: nel febbraio del 1023, esattamente due anni dopo la sparizione del fratellastro, Sitt al-Mulk morì di dissenteria, per cause mai del tutto spiegate. Calò così il sipario su una storia che, ancora oggi, divide gli storici: fu Sitt al-Mulk a far uccidere al-Hakim?

La risposta, in realtà, non appare ancora chiara. Erano più d’uno, infatti, i membri della dinastia fatimide a mal sopportare il “califfo matto”, e a volerne la morte. La principessa, dunque, potrebbe non aver mai preso parte a tale cospirazione. Ciò ch’è certo, un millennio dopo, è che dei resti di al-Hakim si è persa ogni traccia; la donna, invece, viene ricordata come una delle figure storiche più importanti di un ventennio fatto di luci e ombre.

 

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Classe '97, umanista digitale, appassionata di storia, cultura, costumi e tradizioni. Ogni volta che scrive un articolo, impara sempre qualcosa di nuovo.

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