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L’Albania, piccola perla del Mediterraneo incastonata tra Montenegro, a Nord, e Grecia, a Sud, è una terra ricca di sorprese. Chi vi si reca in visita resta ammaliato dalle sue bellezze naturalistiche, le spiagge cristalline e i siti archeologici.
Accanto a queste meraviglie, però, gli occhi dei turisti sono catturati anche da qualcosa di insolito e meno gradevole alla vista: fortificazioni in cemento armato che costellano il paesaggio albanese. I protagonisti indiscussi nella terra delle aquile sono proprio loro: i bunker.
Definirne il numero esatto è un’opera impossibile, ma secondo le stime potrebbero ammontare a centinaia di migliaia di unità. Costruiti tra gli anni ’60 e ’80, sono presenti letteralmente ovunque: dalle coste alle montagne, dalle città alle campagne, e testimoniano una pagina di storia importante per l’Albania.
Oggi la loro presenza viene osteggiata da tanti albanesi che ne desidererebbero la totale demolizione; alcuni sono stati, così, smantellati o ridotti in stato di abbandono, ma tanti altri sono stati “riciclati” per gli scopi più disparati. Viaggeremo, dunque, alla scoperta dei Bunkerët (in albanese), osservando le cause che hanno portato alla loro capillare diffusione in Albania, fino a giungere al loro più recente reimpiego in ambito turistico, e non solo.
La costruzione dei Bunker e la paranoia dell’invasione
Le molteplici costruzioni fungiformi in cemento armato furono erette in piena Guerra Fredda, per ordine del dittatore comunista Enver Hoxha che governò in Albania dal 1944 al 1985. Alla base della sua costosa decisione, vi era la paranoica convinzione che il Paese sarebbe presto caduto vittima di un attacco militare da parte degli ex alleati. Ma l’offensiva non fu mai scagliata, rendendo, de facto, l’ingente spesa per la costruzione dei bunker inutile.
Per comprendere meglio il contesto storico nel quale si colloca l’edificazione dei Bunkerët albanesi occorre, però, percorrere alcuni passi indietro, volgendo lo sguardo, in particolar modo, alla politica estera adottata da Hoxha. Instauratore di una forma di governo fortemente autocratica e isolazionista, in realtà, inizialmente cercò di stabilire delle alleanze all’interno del blocco comunista.
Al principio, cercò una spalla nella Jugoslavia di Tito, ma gli attriti di quest’ultima con Mosca portarono il leader albanese a schierarsi con l’Unione Sovietica di Stalin. In seguito alla morte di quest’ultimo e all’aumento delle divergenze con i sovietici, Hoxha spostò, però, lo sguardo verso la Cina di Mao Zedong, con la quale instaurò un’alleanza durata fino al 1977.
Il fattore scatenante della paranoia di un’invasione straniera fu l’attacco sovietico in Cecoslovacchia nel 1968. La decisione di Hoxha di astenersi dall’invasione determinò la fuoriuscita dell’Albania dal patto di Varsavia. Da quel momento il dittatore divenne ossessionato dal terrore che gli ex alleati comunisti o gli antagonisti della NATO potessero sferrare un attacco al Paese. Cominciò, così, la costruzione dei bunker.
Tanti bunker, ma a che prezzo?
Il piano di “bunkerizzazione” dell’Albania venne attuato nell’arco di circa vent’anni. Lo scopo delle costruzioni fortificate era quello di respingere i nemici e proteggere la popolazione dagli attacchi esterni. Per tale motivo, furono installate tre tipologie di bunker.
Le più semplici erano le Qender Zjarri. Con i loro tre metri di ampiezza, questi bunker erano progettati per ospitare al massimo due persone e venivano prefabbricati e assemblati in loco; seguivano i Pikë Zjarri, più grandi rispetto ai primi, con una capacità di accoglienza di una decina di soldati; infine, i più capienti di tutti erano i tunnel antiatomici, che potevano contenere persino dei velivoli.
I bunker realizzati furono innumerevoli: se ne stima 1 ogni quattro albanesi, per un totale approssimativo che va dalle 175.000 alle 700.000 unità. Far erigere queste fortificazioni, però, richiese un enorme impiego di risorse economiche che avrebbero potuto essere allocate per altri scopi, come la costruzione di alloggi popolari o reti viarie.
I problemi di oggi
L’impatto economico derivato dal programma di “bunkerizzazione” si fa sentire tutt’oggi: l’Albania paga ancora il prezzo amaro delle scelte del suo ex leader, costate miliardi di dollari. Dagli anni Novanta, quando il Paese ha attraversato il maggior momento di crisi, gli albanesi si stanno riprendono lentamente, e a fatica.
Il sentimento verso queste costruzioni grigie è perlopiù ostile, motivo per il quale molti vorrebbero che sparissero. E alcuni bunker sono stati effettivamente demoliti. Il problema è che per distruggerli sono necessari dei costi non indifferenti e diventa impensabile applicarli per tutti i funghi di cemento disseminati nel territorio.
Senonché, la rimozione di alcuni bunker sul territorio si è resa necessaria per problemi di sicurezza. Il riferimento è a una località costiera nel sud dell’Albania, dove l’innalzamento del livello del mare ha sommerso le costruzioni in cemento, convertendole in un pericolo per i bagnanti. Si sono verificati, in effetti, degli incidenti mortali in cui alcuni vacanzieri, tra cui dei bambini, sono annegati a causa dei vortici creati dalle correnti attorno ai bunker affondati.
Dopo costosi e difficoltosi lavori di rimozione, il governo albanese ha liberato queste spiagge dai pericoli, ma tanti altri bunker in tutto il territorio albanese hanno conosciuto un destino diverso. Derelitti e in rovina, alcuni funghi di cemento sono stati usati a mo’ di improvvisati contenitori della spazzatura, o sono stati occupati dai senzatetto. Tuttavia, queste non sono state le uniche sorti toccate ai bunker albanesi che, in certi casi, sono “risorti” sotto mentite spoglie.
La metamorfosi dei bunker
Arresi alla presenza inevitabile dei Bunkerët, gli albanesi hanno saputo reindirizzarne la funzione, talvolta in modi davvero fantasiosi. Nelle campagne, ad esempio, questi sono divenuti dei depositi di attrezzi agricoli o prodotti alimentari, dei fienili, delle stalle per il bestiame, nonché dei forni.
Nelle città e nelle coste il loro riuso è stato ancora più creativo. Sono diventati in diversi casi dei bar, delle cabine-spogliatoio, delle piccole attività commerciali, dei ristoranti, delle discoteche, dei musei e, persino, cappelle votive e sale per tatuaggi.
Il grigiore dei bunker è stato, inoltre, addolcito da alcuni abbellimenti, consistente in dipinti creativi che hanno donato colore al cemento.
Bed & Bunker: nuova vita
Alcuni bunker albanesi sono stati protagonisti di un curioso progetto, dal nome Bed & Bunker, al quale hanno collaborato due università, la Universiteti Polis di Tirana e quella tedesca di Mainz. Lo scopo, come è facilmente intuibile, mirava a convertire i bunker in strutture Bed & Breakfast.
Il progetto si è svolto nell’estate del 2012 in un villaggio costiero a Lezha, nel nord dell’Albania ed è stato pensato per conferire nuova vita ai “gusci” grigi della Guerra Fredda, creando qualcosa di nuovo, originale e funzionale.
Interessante è la scelta del materiale impiegato per l’organizzazione degli spazi interni ai bunker, il legno, che simbolicamente stride con la pesantezza e la rigorosità del cemento. La validità del progetto è stata riconosciuta a livello europeo, tanto da accaparrarsi il premio EUmies per l’architettura contemporanea nel 2015.
Due perle albanesi: Bunk’Art 1 e Bunk’Art 2
Un piccolo spazio in questa trattazione va dedicato anche ai bunker più famosi dell’Albania: Bunk’Art 1 e Bunk’Art 2. Si tratta di due musei divenuti ormai tappa obbligata per i turisti che scelgono di recarsi in visita a Tirana. Entrambi, infatti, si trovano nella capitale, sebbene il primo sia più in periferia, e sono enormi bunker sotterranei dove oggi è possibile immergersi nella storia novecentesca del Paese delle aquile.
Nei due musei, che coprono rispettivamente un’area di 3000 e 1000 m², è infatti possibile scoprire il passato di questo Paese attraverso mostre storiche e installazioni artistiche divise per periodi storici.
Nel Bunk’Art 1, come indicato da sito ufficiale, si offre uno sguardo alla storia dell’Albania, specialmente agli anni del Comunismo e della Guerra Fredda, ma, in generale, al periodo che va dal fascismo del 1939 alla liberazione dell’Albania negli anni ’90. L’esperienza formativa che ha da offrire questo museo, tuttavia, non si limita esclusivamente alla mostra, ma anche alla gigantesca struttura che si snoda in cinque piani e contiene 106 stanze.
Il Bunk’Art 2, sito nel centro di Tirana, invece, racchiude 24 stanze nelle quali il focus è rivolto al passato comunista albanese. Il tunnel, costruito per proteggere e nascondere il Ministero degli Interni, si divide in tre sezioni storiche principali e dà accesso a informazioni sulla Segurimi, i servizi segreti albanesi incaricati dall’ex dittatore Hoxha di reprimere ogni dissenso popolare. La visita in questi due musei è, dunque, imprescindibile per coloro che vogliano informarsi sulla realtà albanese dello scorso secolo.
Se è, dunque, vero che i bunker hanno isolato e allontanato per anni l’Albania dal resto del mondo, oggi diventano, invece, preziose occasioni di apertura verso l’esterno, vere e proprie calamite per il turismo, attraverso cui testimoniare e trasmettere la recente storia della terra delle aquile.
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