Contenuti
Questo articolo è disponibile anche in:
È ormai dal 24 febbraio 2022 che il granaio d’Europa, l’Ucraina, è diventato il centro di gravità di ogni notiziario a seguito dell’allargamento del conflitto tra Kiev e le forze russe e filorusse già avviato nel 2014. Tristemente, solo una guerra ha potuto mettere sotto i riflettori il secondo Paese più esteso del continente. In precedenza, esso era trascurato e ignorato ingiustamente nei dibattiti dell’Europa Occidentale. In Italia la situazione non era affatto dissimile.
L’Ucraina evocava solo sbiadite idee nella mente dell’italiano medio che conosceva questa nazione principalmente attraverso lavoratori di fatica e donne avvenenti. Eppure, le storiche doti di ingegno e capacità che hanno caratterizzato il nostro popolo ci hanno permesso di stabilire profondi legami anche con questa lontana area orientale d’Europa. Fu attraverso Odessa che i territori meridionali dell’Impero Russo finirono con l’ammirare l’arte e la cultura italiane.
Odessa: un crocevia imperiale
Odessa non è una città antica, per quanto il suo territorio sia da millenni crocevia di popoli e scambi di ogni tipo. Di qui passarono gli Sciiti, i Greci, i Romani, gli Unni, gli Avari, i Bulgari. L’area divenne soggetta al Granducato di Lituania nel XIV a seguito della vittoria sui Tatari da parte del granduca Algirdas nella battaglia delle Acque Blu del 1362.
I Genovesi si servirono tra XIII e XIV secolo delle future coste odessite come ancoraggio per le proprie navi, in virtù della presenza in Crimea e nel Mar d’Azov di varie loro fortezze nate per garantire sicurezza ai commerci. Si può dire che gli Italiani fossero già presenti qui ben prima della fondazione della città. È solo nel 1794, però, che Caterina la Grande di Russia decise di dare a questo antico, benché non urbanizzato crocevia, una valenza cittadina ed imperiale.
L’area era stata sottratta da poco all’Impero Ottomano nel 1774. Tale vittoria aveva permesso ai Russi di conquistare gran parte delle coste settentrionali del Mar Nero. Questi successi militari erano stati possibili grazie alla guida del famoso comandante Grigorij Aleksandrovič Potëmkin che assurse anche a ruolo di ecista.
Infatti, in accordo con Caterina, ordinò la costruzione di moltissime città russe come Cherson, Sebastopoli, Simferopoli, Nikolayev (oggi conosciuta come Mykolayiv), oggi al centro dello scontro tra Russia ed Ucraina. Il fiore all’occhiello dell’opera fondativa di Potëmkin sarebbe stata proprio Odessa che iniziò a progettare. Il destino però decise altrimenti, facendolo passar a miglior vita nel 1791.
Fu quindi necessario servirsi di altri uomini per l’impresa. Gli effettivi fondatori della nuova città furono un nobiluomo napoletano e due nobiluomini francesi: il generale de Ribas, il conte Langeron e il duca di Richelieu. Odessa fu quindi già in nuce un centro cosmopolita. Con la morte di Caterina nel 1796, la spinta costruttiva fu ripresa dallo zar Alessandro I. Il compito di concedere alla città una dignità imperiale fu fatto ricadere su un architetto italiano: Francesco Boffo.
Egli si prodigò nella progettazione di edifici e monumenti per oltre quarant’anni. La scalinata Potëmkin è uno degli esempi principali del suo profuso lavoro. L’utilizzo di maestri italiani non fu assolutamente una novità per le terre degli zar. La stessa capitale San Pietroburgo fu magnificata da vari architetti italiani nel XVIII secolo, così come anche il Cremlino di Mosca fu ampiamente abbellito da architetti del Bel Paese sin dal XV secolo. Il sogno di creare una fiorente e moderna metropoli russa su un mare caldo poteva finalmente avere luogo.
La rapida espansione della città
Non ci volle molto prima che la forza espansionistica russa permettesse a Odessa di crescere a ritmi californiani. Nel 1802 vantava solamente 9000 abitanti, nel 1860 ne contava già 120.000 e nel 1914, alla vigilia della Prima guerra mondiale, la popolazione ammontava a ben 670.000.
La crescita non era stata esente da difficoltà. Nel 1833 una grave carestia si abbatté sulla città e nel 1854 una squadra navale franco-inglese aveva bombardato la città alla luce della Guerra di Crimea. Tutto questo non poté comunque frenare la febbricitante crescita odessita che si nutriva da una parte dell’atavica necessità russa di avere uno sbocco sicuro su un mare caldo e dall’altra della giovane anima della città che attraeva individui di ogni origine.
Ai primi del Novecento essa era ormai la quarta città dell’impero dopo San Pietroburgo, Mosca e Varsavia. Il rapido sviluppo portò anche alla nascita di diversi centri culturali. Nel 1817 fu fondato il liceo di Richelieu, secondo solo a quello di Carskoe Selo. Ogni anno venivano pubblicati circa 600 nuovi testi. Il teatro cittadino dava il benvenuto a compagnie da tutta Europa, tra cui quelle italiane erano le più apprezzate.
Nel 1886 venne aperta la prima stazione batteriologica e nel 1908 fu la volta del primo aeroclub di cui la stella era l’aviatore odessita Utochkin, secondo pilota d’aerei russo in assoluto. La demografia cittadina era estremamente variegata e incarnava il vasto pluralismo dell’impero più esteso del pianeta.
Ogni comunità principale aveva una via a sé dedicata come rivela la toponomastica. Via degli Albanesi, degli Ebrei, dei Greci, dei Genovesi, dei Bulgari, dei Polacchi, dei Serbi, dei Moldavi. A noi Italiani venivano attribuite sia una via sia un viale. D’altronde, la fondazione e l’edificazione furono in gran parte merito di nostri connazionali. Il nucleo demografico originario della città, all’inizio dell’Ottocento, contava addirittura il 10% di abitanti originari dello Stivale.
Un sole quasi mediterraneo
Proprio qui a Odessa nel 1898 fu scritta la canzone napoletana più famosa: ‘O sole mio. Sembra che la composizione dell’opera fu ispirata da una meravigliosa alba sul Mar Nero che fece ricordare il radioso sole mediterraneo. Ed è proprio il sole che giocò un ruolo importante nella fascinazione che la città suscitava negli abitanti di tutta la Russia.
Come sottolineò lo scrittore ebreo odessita Isaak Babel’, Odessa avrebbe donato alla letteratura russa un qualcosa di cui era sempre stata sprovvista: il sole. Le fredde e uggiose distese della Russia avevano pesantemente influenzato i grandi letterati russi, evidenziava Babel’; quindi, sarebbe stato il sole del Sud a generare un nuovo grande letterato che avrebbe superato il “selciato grigio di Karamazov” di Dostoevskij e il “mattino rugiadoso” di Turgenev.
Non a caso, l’ambiente che circonda un popolo può grandemente influenzare alcuni aspetti dell’animo umano. Ad esempio, un contadino dell’entroterra è generalmente meno propenso alla frenetica volontà di scoperta e socialità che una caotica e viva città marittima può facilmente offrire. La campagna suscita riflessione, interiorità, serenità e granitica stabilità. Il mare sprona la vitalità, l’incertezza, la rapidità e la multilateralità.
Odessa si figurò come un punto di rottura delle società prettamente agricole e “invernali” dell’Ucraina e della Russia. Un’isola in un mar di pianura. La grande moltitudine di genti diverse e spesso ostili fra loro, unita alla brezza marittima e al continuo viavai di mercanti e navigatori fece sì che germogliassero caratteristiche tipicamente afferenti ai grandi centri mediterranei.
L’effervescenza culturale poté avere sfogo sia aulicamente che popolarmente. Babel’ ci narra di due centri culturali: la Literaturka (circolo di “veri artisti, veri giornalisti, signorine profumate, grassi borghesi”) e il “Circolo familiare dei lavoratori della scena” all’interno del quale persone più modeste trascorrevano le serate a dialogare sui temi più disparati. Il secondo era il preferito del letterato giudaico poiché l’atmosfera era più autentica e simile ad un teatro.
A Odessa fu possibile coltivare anche un altro attributo mediterraneo, di cui i napoletani sono maestri, ovvero l’arte di arrangiarsi. Babel’ parla di “uomini d’aria” (dallo yiddish “luftmentsh”) ovvero di quegli ebrei che si occupavano di attività non ben precisate per sbarcare il lunario. La comunità ebraica odessita, di cui abbiamo una vivida descrizione dall’interno grazie ai “Racconti di Odessa” dello scrittore, fu una delle più attive sullo scenario cittadino.
La Perla del Mar Nero fu vista come una terra promessa da parte degli ebrei che qui poterono dedicarsi ai loro affari. Anche socialmente la situazione era più tollerabile, dato che i pogrom furono qui meno frequenti che altrove. La pervasiva presenza ebraica nel tessuto economico della città provocò comunque forti malumori.
Ad esempio, all’inizio del Novecento il commercio del grano era per il 90% in mano a mercanti ebraici e l’intera comunità rappresentava ormai circa il 30% del corpo cittadino. L’eccezionalità culturale di Odessa svanì con la Guerra civile russa prima e con le dure repressioni staliniane poi.
La fiorente comunità italiana fu spazzata via a seguito della vittoria bolscevica nella guerra civile. Prima del 1917, gli italiani gestivano maestranze, ristoranti, caffetterie, compagnie teatrali, alberghi. Era presente in città anche la Società Dante Alighieri che fungeva da cassa di risonanza per la diffusione della lingua e della cultura italiane in tutto l’Impero russo.
Questo forte legame fu artificiosamente e violentemente tranciato dalla nuova ideologia comunista che tacciò tutto ciò come “attività borghesi” da eliminare. I pochi italiani che non lasciarono Odessa decisero di vivere sottotraccia durante l’epoca sovietica per timore di rappresaglie. Questo fu il triste destino anche di molte altre storiche minoranze che si trovarono ad essere costrette alla fuga o all’assimilazione forzata.
La comunità ebraica continuò a crescere e prosperare fino al 1941, anno della fatidica Operazione Barbarossa. L’esproprio e le violenze tedesche trovarono terreno fertile anche presso gli elementi slavi della città, ormai stanchi da decenni di vessazioni economiche perpetrate da molti mercanti ebrei. La fascinazione cosmopolita odessita era stata ormai resa un lontano ricordo da quel nuovo Stato socialista che, ironicamente, propugnava la fratellanza tra i popoli.
Odessa era ormai pronta per svolgere il ruolo di importante, benché molto più anonima, città sovietica. Cosa rimane di quella città oggi? Forse ben poco, se non il centro con i suoi monumenti che un tempo era animato da voci di italiani, greci, russi, ucraini, ebrei, moldavi, albanesi. La guerra ha recentemente bussato di nuovo alle porte della città del Mar Nero, stavolta tra quei due popoli slavi le cui differenze erano ab illo tempore soffusamente riconoscibili. D’altronde, la magia dell’eccezionalità è sempre flebile e in pericolo. Se così non fosse, parleremmo di semplice ordinarietà.
Rimani sempre aggiornato seguendoci su Telegram e Instagram!