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Ogni anno la città di Catania si veste di luci, colori, profumi e sapori. Si tratta di un appuntamento immancabile, che vede annualmente la presenza di svariate migliaia di persone: la festa di Sant’Agata. Terza celebrazione religiosa più grande al mondo in termini di partecipanti e spettatori, vede le proprie origini risalire a più di 1700 anni fa, durante le persecuzioni dei cristiani voluta dall’allora imperatore Decio. Ciò rende il culto della santa patrona di Catania tra i più storici e cangianti sin dall’antichità cristiana. Ma chi era Agata, quale fu la sua storia? Come la si celebra nel capoluogo etneo?
Agata, giovanissima martire dalla fede tenace
Quella della patrona catanese non è una storia a lieto fine, ma è certamente simbolo di tenacia e coraggio fino ai limiti estremi. Agata fu esponente di una famiglia di nobili origini del III secolo d.C. che decise di consacrarsi a Dio. Ciò dimostra la presenza di una comunità cristiana in Sicilia già a quei tempi.
Non solo, le illustrazioni dell’epoca vedono la giovane rappresentata con un velo rosso, simbolo di un’importante carica religiosa, ovvero quella della diaconessa; tale figura era incaricata di accompagnare i nuovi convertiti nella professione della nuova fede.
La vita dei cristiani, tuttavia, non era ai tempi certamente facile: l’imperatore Decio, autore di una rigorosa politica di restaurazione della religione romana, diede il via a circa 18 mesi di persecuzione nei confronti di chi professava la religione cattolica. Impose ai cittadini dell’Impero di offrire un sacrificio per dimostrare la propria lealtà; furono tuttavia molti a rifiutare l’esecuzione del rito pagano. Primo fra tutti, il papa Fabiano, che per questo fu martirizzato, dando vita a un lungo periodo di sede vacante, in attesa che l’intensità delle persecuzioni si attenuasse.
L’incontro con Quinziano
La giovane Agata, che in base alle testimonianze frammentarie dell’epoca poteva avere un’età compresa tra i 16 e i 21 anni, scappò con la famiglia verso il Palermitano per sfuggire alle persecuzioni. Rintracciata dalle autorità romane, fece ritorno a Catania. Qui fu notata dal proconsole Quinziano, che se ne invaghì e la obbligò a rinunciare alla fede cattolica.
A nulla valsero i numerosi tentativi di Quinziano nel convincere Agata, a partire dalla confisca dei beni alla famiglia. La giovinetta fu dapprima affidata alle cure delle sacerdotesse di Venere che, con la tentazione, tentarono di farle voltare le spalle alla propria fede. Senza successo, Quinziano ricorse alla tortura. Con delle tenaglie, le furono strappate le mammelle; questi due elementi, oggi, sono simboli rappresentativi della Santa.
Le ferite della ragazza vennero guarite, secondo le narrazioni dell’epoca, da San Pietro, che le apparve durante la notte. Quando la tortura non valse più a nulla, Quinziano condannò Agata a morte. La giovane fu sottoposta al supplizio dei carboni ardenti, e morì in carcere per le ferite riportate il 5 febbraio del 251.
Ma la storia non finisce qui. Le leggende raccontano di come, quando la giovinetta spirò, un forte terremoto ebbe luogo a Catania. Quinziano, spaventato, scappò; fu tuttavia inghiottito, col suo cavallo, da dei gorghi che si formarono sul fiume Simeto. Talmente evidente fu il sacrificio di Agata che, a partire dal 252 d.C., la si iniziò a venerare, portando in processione il suo velo. Esso fermò miracolosamente la lava durante un’eruzione dell’Etna, durante il primo anniversario dalla morte della giovane.
La celebrazione di Agata, tra sacro e profano
Con il passare degli anni, la “festa” di Sant’Agata si è trasformata notevolmente. Si hanno notizie delle prime celebrazioni dal 1126 in poi, quando le spoglie della Santa tornarono in patria, dopo essere state tenute come bottino di guerra per lunghi anni a Costantinopoli. Almeno in via iniziale, le celebrazioni si tenevano in chiesa. Dopo il terremoto del 1169 e la conseguente ricostruzione di Catania, le nuove strade più larghe e i collegamenti tra più parti della città permisero di pensare a una processione.
Dal 1376 in poi, con la costruzione del busto reliquiario e della Vara, il fercolo tramite il quale si trasportano le reliquie della Santa, iniziarono le prime processioni: prima solamente il 4 febbraio, poi il 4 e il 5. Al sacro, dall’epoca Rinascimentale in poi, iniziano a legarsi celebrazioni profane, alcune giunte fino ai giorni nostri.
Un esempio sono certamente le ‘ntuppatedde, giovani donne velate che, ribellandosi alla regola secondo la quale alle donne non era permesso uscire di casa da sole, ritrovavano la libertà per una sola notte, dandosi a balli sfrenati e lasciandosi corteggiare dai partecipanti alla festa. Le maschere, in fondo, non sono inusuali per la festa di Sant’Agata. Spesso, infatti, essa va a coincidere col carnevale, creando quest’atmosfera festosa e misteriosa allo stesso tempo.
Certamente, tra gli elementi del profano più celebri, vanno citate le cannalori: grandiose strutture di diverse fatture che, da tradizione, rappresentano il voto espresso dalle diverse corporazioni della città. Nei secoli sono aumentate e scese di numero. Oggi se ne contano 15, con l’ultima aggiunta proprio nel 2024, dedicata a Luigi Maina.
Con la loro classica annacata, movimento ondulatorio simile a un balletto, annunciano per le vie della città l’arrivo della celebrazione sin dal 20 gennaio, accompagnate da bande che suonano allegri motivi. Il 4 e il 5 febbraio anticipano il fercolo di Sant’Agata durante il giro interno ed esterno, senza musica ma in solenne processione.
Non mancano elementi come i fuochi d’artificio, attesi specialmente il 3 febbraio, con uno spettacolo piromusicale. E, naturalmente, non mancano gli elementi sacri.
Tra di essi, vanno certamente ricordati i grossi ceroni votivi portati a spalla dai devoti, coloro i quali fanno voto a Sant’Agata. Secondo la tradizione, giorno 5 si accendono ceri grandi e pesanti quanto la persona che li trasporta. I devoti non solo rimangono a vegliare in preghiera il proprio cero tutta la notte; tirano anche il lungo cordone durante la processione della Santa, urlando preghiere e parole d’amore per Agata.
L’ottava e Sant’Agata di mezz’agosto
L’incontro con Sant’Agata è tra i più attesi e desiderati dalla città intera. La separazione avviene in modo commovente, con il busto reliquiario abbracciato dalla marea bianca dei devoti mentre viene condotto al sacello dove viene messo a riposo. Otto giorni dopo la festa, il busto esce nuovamente per un breve giro della piazza del Duomo: inizia così il lungo momento di separazione tra Catania e la sua patrona.
Un ultimo momento dell’anno dove è possibile salutare ancora una volta la Santa è il 17 agosto, il momento di Sant’Agata di mezz’agosto. Si tratta della data in cui i soldati Gilberto e Goselino riportarono i resti di Agata in patria. La città, ancora una volta, si veste a festa e saluta la patrona, per poi darle l’appuntamento al febbraio successivo.
Quella tra Catania e Sant’Agata, dunque, è una lunghissima e profonda storia d’amore. L’intensità della devozione verso la giovinetta, che tante volte salvò miracolosamente la città dalla distruzione delle eruzioni, è palpabile al momento delle celebrazioni. Un evento che, almeno una volta nella vista, da ovunque si provenga, va visto e vissuto nel pieno.
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