Liguria, Tunisia e Sardegna. Il Tabarchino è l’eredità dei rapporti tra i popoli del Mediterraneo, oggi, secondo le stime della Regione (SardegnaCultura – Il tabarchino) parlata da oltre l’80% degli abitanti dei comuni di Carloforte (L’Uîza) e Calasetta (Câdesedda), rispettivamente sulle isole di San Pietro (San Pê) e Sant’Antioco (Sant’Antiócu), nell’Arcipelago del Sulcis, in Sardegna sud-occidentale.
Una lingua che ha preso in prestito termini dall’arabo, dal siciliano e dal francese, passando per l’isola di Nueva Tabarca (Alicante, Spagna), dove però risulta estinto dall’inizio del XX secolo. Tabarca è infatti il nome della cittadina tunisina, al confine con l’Algeria, in cui tutto ebbe inizio. Era il 1544 e re Carlo V d’Asburgo firmò un accordo con il Bey Moulay Hassan che consentì il ripopolamento delle coste del regno tunisino.

Venne così individuata dai potenti signori genovesi Lomellini una comunità di pescatori di Pegli, cittadina a ovest di Genova e oggi quartiere della città, che si insediò a Tabarca per dedicarsi alla pesca dei coralli. Una risorsa che ben presto si esaurì, costringendo, intorno alla metà del 1700, gran parte di questi pescatori a emigrare di nuovo, in cerca di nuove opportunità di commercio e di lavoro.
La minoranza negata
Alcuni scelsero Alicante, altri si spostarono in Sardegna, complice la decisione di Carlo Emanuele III, re dell’isola, di popolare i territori disabitati per preservarli dalle incursioni dei pirati provenienti dalla Barberia, l’antico nome del Nord Africa. Nasce così la cittadina di Carloforte, chiamata così in onore del re.
Oggi i Tabarchini sono riconosciuti minoranza linguistica solo dalla Regione Sardegna, al pari del sardo e del catalano di Alghero, ma non dallo Stato Italiano con la legge 482 del 1999, benché nel tempo si siano susseguite proposte di emendamento, disegni di legge e interrogazioni parlamentari.
Il mancato riconoscimento da parte dello Stato non impedisce che il Tabarchino sia considerata dai più come la propria lingua madre, da tutti condivisa, senza distinzione di età o classe sociale, parlata nei Consigli comunali, nelle scuole e persino in chiesa.
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