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Il Mediterraneo, culla di civiltà, ha dato vita a storie dalla bellezza disarmante. Dallo stesso immaginario ancestrale, fatto di timore e reverenza, hanno avuto origine anche storie più cupe, i cui protagonisti sono delle creature dalle fattezze spesso mostruose. Dalle sirene greche ai jinn arabi, attraversare le mitologie del bacino mediterraneo significa entrare in contatto con le paure e i desideri più profondi dell’animo umano. Ogni creatura racconta un’emozione, un tabù, un simbolo che ha attraversato i secoli.
Le creature della Grecia: tra inganno e metamorfosi
Nel cuore del mito occidentale, la Grecia ha dato vita ad alcune tra le creature più famose della storia. Le sirene, per esempio, erano originariamente raffigurate con corpo d’uccello e volto femminile. Cantavano melodie così struggenti da condurre i marinai verso la morte, attirandoli contro le scogliere nelle quali abitavano. Simbolo di seduzione e pericolo, incarnavano perfettamente il conflitto tra desiderio e razionalità. Per i Greci, popolo di marinai, il mare era una forza misteriosa, capricciosa e pericolosa. Le sirene incarnavano la paura di naufragare, di perdere la rotta o di non fare ritorno. Scogli nascosti, correnti traditrici o bonacce mortali: il mito dava un volto a questi rischi invisibili.
Un altro essere emblematico è il Minotauro, rinchiuso nel labirinto di Creta. Metà uomo e metà toro, nato da un’unione sacrilega, incarna l’idea di un’umanità divisa tra istinto e ragione, tra civilizzazione e animalità. Uno scontro che si svolge a porte chiuse nella mente umana, rappresentata dal labirinto. Anche la Chimera, mostro con parti di leone, capra e serpente, racchiude in sé la paura dell’anomalo e del caos. È l’emblema della rottura dell’ordine naturale, di ciò che non dovrebbe esistere. In un mondo come quello greco, basato su proporzione, misura e armonia, la Chimera incarna l’orrore dell’eccesso e dell’informe.

Nord Africa: creature mitologiche del deserto
Nel Maghreb, le creature mitologiche affondano le radici nelle tradizioni berbere e arabe. I jinn sono forse tra i più noti: spiriti di fuoco invisibile, abitano deserti, rovine e pozzi abbandonati. Non sono né buoni né cattivi, e la loro ambiguità li rende pericolosamente simili agli uomini. La leggende raccontano come possano essere evocati, ma mai del tutto controllati. Abitano un mondo parallelo al nostro, invisibile ma interconnesso. Alcuni si legano agli esseri umani, altri li ingannano, altri ancora diventano musulmani e osservano la legge divina. I jinn simboleggiano l’ansia per ciò che non si vede ma c’è, per l’inspiegabile che può manifestarsi all’improvviso.

Aisha Qandisha è, invece, una figura leggendaria del folklore marocchino; spirito femminile dalle origini antiche, viene descritta a volte come una fata, altre come un demone. I suoi piedi animaleschi, spesso caprini, tradiscono la sua natura sovrannaturale: Aisha è una creatura liminale, al confine tra umano e spirito, tra donna e jinn. Caratterizzata da una forte sensualità, incarna un erotismo potente e inquietante. Seduce uomini soli, li ammalia e li spinge alla follia. Rappresenta la paura del desiderio maschile che sfugge al controllo della ragione, è la personificazione di quella tensione profonda tra il familiare e l’ignoto, il desiderio e la paura.
Vicino Oriente: mitologia monumentale
Nell’area mesopotamica e anatolica, le creature leggendarie assumono spesso sembianze monumentali. Ne è un esempio perfetto il Lamassu, un colossale essere con corpo di toro, ali d’aquila e volto umano; un’antica creatura mitologica che incarna la protezione divina e il potere assoluto di chi governa. Spesso raffigurato come una statua monumentale posta davanti ai templi o agli ingressi di palazzi, il Lamassu aveva la funzione di proteggere i luoghi sacri e gli edifici più importanti, impedendo che entità malvagie entrassero.

La natura ambigua stessa del Lamassu, sospesa tra umanità e istinto animale, rivela una tensione profonda: quella tra il dominio della ragione e il rischio costante della regressione all’animalità. La testa umana rappresenta la razionalità, la saggezza necessaria a mantenere l’equilibrio; il corpo bestiale, invece, allude alla forza bruta che si può scatenare se l’ordine viene infranto. La sua funzione di guardiano diventa così un’espressione del desiderio umano di contenere le forze naturali e soprannaturali, di dominare l’ignoto.
Balcani e Albania: draghi e vampiri
Nelle terre montuose dei Balcani e dell’Albania si trovano alcune tra le creature più arcaiche e affascinanti. La Kulshedra è una creatura mitologica albanese dalla forma di drago femminile a più teste, incarnazione di forze primordiali e distruttive. Portatrice di siccità, tempeste e disastri naturali, abita grotte profonde o montagne remote, luoghi isolati dove il confine tra mondo umano e dimensione caotica della natura si fa sottile e la suggestione potente. Spaventosa e distruttiva, la Kulshedra è descritta con un corpo serpentino e numerose teste, ognuna dotata di poteri diversi: alcune sputano fuoco, altre incantano o ammaliano chi osa avvicinarsi.
Eppure, nonostante il suo aspetto terrificante, la Kulshedra rappresenta anche un principio di equilibrio. Solo eroi dotati di forza, coraggio e virtù possono affrontarla, ristabilendo l’armonia tra le forze in lotta. La sua esistenza diventa allora testimonianza degli sforzi degli uomini per contenere la furia del mondo naturale.
Dai Balcani, invece, nasce il mito del vampiro, ben prima dell’influenza letteraria occidentale rappresentata da Dracula. Le leggende slave narrano di morti che ritornano a tormentare i vivi, spesso mossi da rancori o colpe irrisolte. Queste figure erano temute a tal punto da influenzare rituali funerari e credenze popolari, fino all’età moderna. A differenza del vampiro romantico nato nell’Ottocento, il vampiro balcanico è una creatura gonfia, puzzolente, corrotta, spesso legata a tabù religiosi, peccati in vita o morti sospette. Ha origine dal timore che il ciclo naturale venga interrotto, fortissimo nelle società contadine.
Un funerale mancato o scorretto, ad esempio, poteva condannare un’anima a vagare per l’eternità. Da qui derivano rituali accurati per impedire il ritorno del morto, come conficcare chiodi nel corpo, seppellirlo con particolari oggetti o legarlo. Un esempio emblematico è dato proprio dai Vrykolakas di Santorini, probabilmente tra i “primi vampiri” di cui si ha avuto testimonianza.
Attraversare le mitologie del Mediterraneo significa immergersi in un mare di simboli, paure e desideri che, pur cambiando forma, restano sorprendentemente simili da una costa all’altra. Le creature che popolano questi racconti non sono semplici invenzioni, ma riflessi delle emozioni più profonde dell’umanità: la paura dell’ignoto, il fascino per l’invisibile, il conflitto tra istinto e ragione.
In ogni sirena, jinn, vampiro o drago si cela una domanda ancora attuale, un enigma sull’essere umano e sul mondo che lo circonda. Forse il motivo per cui oggi queste leggende sopravvivono e riescono ad affascinare ancora oggi nei racconti, nell’arte, e nei videogiochi.
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