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La tessitura dei tappeti rientra tra le tradizioni tessili più antiche del Mediterraneo: ogni filo ha una memoria, ogni nodo è un simbolo.
Da Khosrow al cuore del Mediterraneo
I tappeti sono stati considerati spesso come dei semplici complementi d’arredo. In realtà, per secoli, sono stati oggetti carichi di significato, veri e propri scrigni tessili di identità, fede, protezione e bellezza. Ogni disegno racconta un codice culturale, tramandato da mani esperte e invisibili. Le prime testimonianze di tappeti annodati provengono dall’Asia centrale. Tuttavia, è nel mondo persiano che questa arte si perfeziona e si carica di significato.
Secondo una delle più antiche narrazioni, il re sasanide Khosrow I possedeva un tappeto chiamato Bahār-e Kasrā (“la primavera di Khosrow”), tessuto con fili d’oro e pietre preziose. Questo manufatto, leggendario per dimensioni e splendore, avrebbe rappresentato il giardino dell’Eden e simboleggiato il potere imperiale. È da qui che si sviluppa, nei secoli successivi, il mito del tappeto volante, poi consacrato nelle edizioni tarde delle Mille e una notte.
Con le rotte carovaniere e i contatti tra mondo arabo, bizantino e ottomano, l’arte della tessitura si espande fino al bacino mediterraneo: tappeti anatolici, kilim berberi, stuoie egiziane, ma anche le tessiture dell’Albania, della Sicilia e dei Balcani testimoniano una diffusione ampia e stratificata.

Tessere l’identità: il tappeto come codice culturale
Nel Mediterraneo i tappeti raccontano la storia di chi li ha creati. Ogni dettaglio, dalla scelta dei colori ai motivi geometrici, risponde a un linguaggio visivo fatto di archetipi condivisi e variazioni locali. Alcuni simboli ricorrono con sorprendente frequenza nei tappeti tradizionali, tra cui l’albero della vita. Profondamente radicato nelle culture del Mediterraneo orientale e dell’Asia minore, simboleggia la continuità della vita, la protezione divina e il legame tra mondo terreno e sfera spirituale. Ricorre spesso anche il fiore a otto petali, legato al concetto di rinascita, insieme alla figura del drago o del serpente, simboli ambivalenti che oscillano tra il disordine e la forza protettiva.
Molti motivi geometrici erano usati per “intrappolare gli spiriti”, secondo credenze diffuse in Anatolia e nel Maghreb: forme spezzate, linee a zigzag e schemi labirintici venivano intrecciati con cura affinché il malocchio si perdesse nel disegno. In alcune tradizioni, questi intrecci servivano anche a confondere i jinn, spiriti invisibili e ambivalenti, impedendo loro di nuocere agli abitanti della casa.
In Marocco, si racconta che alcuni tappeti, tessuti in momenti astrologici precisi e arricchiti da simboli magici, agissero come talismani viventi: secondo la leggenda, di notte prendevano vita per vegliare sulla casa, scacciando spiriti e presenze indesiderate.
Diventa inevitabile, allora, che alla creazione dei tappeti siano legate figure quasi mistiche. Tra tutte, spiccano le tessitrici-vegliatrici: donne depositarie di un sapere antico, che, secondo la tradizione, intrecciavano nei motivi decorativi anche visioni personali e frammenti di destino. In alcune regioni del Caucaso si credeva che sapessero “leggere il futuro” nei disegni tessuti, come se ogni nodo custodisse una silenziosa forma di divinazione quotidiana.
Un’eredità che si reinventa
Nonostante l’avanzare dell’industria e della produzione seriale, l’arte del tappeto sopravvive grazie a cooperative, botteghe familiari e progetti UNESCO. In Tunisia, Marocco, Turchia, Albania e perfino in Sicilia, piccole realtà mantengono viva la tessitura manuale.
Anche il design contemporaneo guarda a questo patrimonio: artisti e stilisti reinterpretano spesso motivi tradizionali con nuovi materiali, mantenendo però intatto il valore simbolico.
Il tappeto, come il Mediterraneo, è stratificato, ricorsivo, ricco di trame che svelano più di quanto si vede in superficie. Raccontano di migrazioni, contaminazioni, lotte e bellezza. Forse è anche per questo che, ancora oggi, i tappeti continuano ad affascinare e decorare le case.
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