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Mistica, popolare, straordinaria. La Grotta dei Cervi è uno dei monumenti d’arte parietale più importanti del Mediterraneo e, proprio per la ricchezza delle sue raffigurazioni, è stata definita dal prestigioso mensile National Geographic “la Cappella Sistina della Preistoria”.
Si trova ad Otranto, in provincia di Lecce, e conserva circa 3000 incisioni e pittogrammi lungo i suoi 3 chilometri che si snodano tra stalattiti e stalagmiti a 26 metri sotto il livello del mare.
La Grotta dei Cervi di Otranto, santuario del Mediterraneo
I pittogrammi, realizzati in ocra rossa e guano di pipistrello, rappresentano figure umane, animali, simboli, scene di danze tribali o riti propiziatori e forme geometriche come cerchi, spirali, croci, stelle, linee parallele e griglie. Vi è inoltre un intero ciclo dedicato alla caccia ai cervi, da cui deriva, appunto, il nome della grotta. In un complesso pittorico databile tra il 4000 e il 3000 a.C. che lo rendono tra i più imponenti del Neolitico europeo. Ma numerosi sono i disegni ancora da decifrare e in fase di studio da parte della comunità scientifica.
Uno dei pittogrammi più noti e controversi del sito è il cosiddetto “Dio che Balla”: una figura con testa triangolare con una corona a sette raggi che sembrerebbe essere uno sciamano danzante, simbolo della connessione tra il mondo tangibile, reale e quello degli spiriti. E anche figura strettamente legata al ruolo che questa cavità ebbe nel Neolitico: tempio e santuario, come hanno rivelato i diversi corpi sepolti rinvenuti, molti dei quali in posizione fetale.
Per tutta la durata della preistoria, le grotte hanno infatti offerto riparo e protezione e sono state considerate il luogo ideale per entrare in contatto col divino e con il mondo “di sotto”, quel ventre materno, il grembo della Dea Madre, venerato dalle comunità agricole.
La Cappella Sistina della Preistoria
La Grotta dei Cervi divenne quindi sede di cerimonie collettive in onore della Grande Madre, dove confluivano genti da tutto il bacino del Mediterraneo, fino a farne un fondamentale crocevia per stringere patti, scambiarsi doni, incontrare persone di altri luoghi. Questo perché con il passaggio ad un’economia agricola e con la produzione di ceramica, il Salento fu uno dei territori di traffici soprattutto da Dalmazia, Albania e Grecia, ma anche dalle altre sponde del Mare Nostrum.
“Il fascino delle pitture che si snodano lungo le pareti della Grotta – riporta il libro “La Grotta dei Cervi e la Preistoria nel Salento” (Edizioni Manni, 2019) – racconta di un linguaggio che, nella condivisione di codici espressivi, non conosce barriere territoriali, travalica le singole culture regionali e nel suo essere elusivo e allusivo si fa cerimonia, preghiera, narrazione”.
Per ragioni di conservazione del patrimonio rupestre, la cavità salentina è chiusa al pubblico, ma è possibile visitare il Museo Faggiano di Lecce (Museo Faggiano – Edificio storico archeologico Lecce) che ha dedicato alla Grotta dei Cervi una sala dove si ricreano minuziosamente alcuni antri del sito.
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