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Là dove il Nilo incontra il Mediterraneo, un tempo sorgeva una città grandiosa, creduta a lungo leggenda. I Greci la chiamavano Heracleion, gli Egizi Thonis. Per secoli fu uno dei porti più importanti dell’Egitto faraonico, crocevia di scambi, riti religiosi e identità multiple. Poi, un giorno, scomparve, inghiottita dal mare. Solo nel 2000, grazie a una straordinaria missione archeologica subacquea, Heracleion è tornata alla luce, rivelandosi come la più grande città sommersa mai scoperta nel Mediterraneo.
Una città perduta
Heracleion era già avvolta dal mistero ai tempi di Erodoto. Il celebre storico greco raccontava che proprio lì Eracle, l’eroe greco, mise piede per la prima volta in Egitto. Secondo la tradizione, anche Paride ed Elena vi avrebbero trovato rifugio durante la fuga da Sparta, prima dello scoppio della guerra di Troia. Le cronache antiche la descrivono come luogo sacro, sede di riti di incoronazione faraonica e dimora di un importante tempio dedicato al dio Amon.
Con la fondazione di Alessandria da parte di Alessandro Magno nel 331 a.C., la città perse gradualmente la sua centralità politica e commerciale. Svanì dalle rotte e dai racconti, fino a sembrare una leggenda dimenticata, simile ad Atlantide ed alle altre isole perdute del Mediterraneo.
Finalmente, nel 2000, dopo anni di ricerche geofisiche e analisi documentarie, l’archeologo marino Franck Goddio, con il supporto dell’Institut Européen d’Archéologie Sous-Marine (IEASM), individuò una vasta area sommersa nella baia di Abukir, non lontano da Alessandria. A circa dieci metri sotto il livello del mare giacevano resti monumentali: colonne, statue, templi, relitti.
Grazie a sonar, magnetometri e immersioni dirette, venne mappata un’area di oltre 11 chilometri quadrati: una superficie oltre dieci volte più estesa di quella dell’antica Pompei. Le condizioni fangose ma prive di ossigeno avevano protetto migliaia di reperti per più di dodici secoli, offrendo una testimonianza eccezionale della vita religiosa e commerciale dell’Egitto basso-periodo.

Ritrovamenti eccezionali: tra pietra e papiro
Tra i reperti riemersi dalle acque della baia di Abukir, alcuni spiccano per imponenza e valore storico. Una statua colossale in granito rosso raffigurante il dio Hapi, alta ben 5,4 metri, ha restituito concretezza al culto legato alla piena annuale del Nilo. Di particolare rilievo è anche una stele perfettamente conservata, risalente al regno di Nectanebo I (380–362 a.C.), sulla quale è inciso il Decreto di Sais: il testo non solo conferma l’importanza politico-religiosa della città, ma ne specifica con chiarezza anche la collocazione, identificandola proprio con Thonis-Heracleion.
Tra le strutture più significative rinvenute durante le immersioni vi è un tempio greco dedicato ad Afrodite, testimonianza tangibile del dialogo culturale e religioso che caratterizzava la città. Intorno a queste scoperte monumentali, sono emersi decine di altri oggetti: statue colossali di sovrani e divinità, monete d’oro, anfore, ceramiche, gioielli e strumenti di uso quotidiano.
In totale, gli archeologi hanno identificato oltre settanta relitti navali, databili tra l’VIII e il II secolo a.C., segno evidente dell’intensa attività marittima e dei frequenti scambi con il mondo greco. Tra le sorprese più inaspettate, la scoperta di tappeti di papiro ancora integri: la totale assenza di ossigeno nei sedimenti ha favorito una conservazione eccezionale di materiali organici, ritenuti altrimenti perduti. Attualmente, gran parte dei reperti è in fase di restauro presso i laboratori dell’IEASM ad Alessandria. Testimonianze vive di una città in cui spiritualità, commercio e mescolanza culturale si intrecciavano in modo unico.
Thonis-Heracleion: un’identità condivisa
Il ritrovamento di iscrizioni in greco e in egizio demotico ha confermato che Thonis ed Heracleion erano la stessa città, con due nomi usati da due civiltà che convissero per secoli. La doppia denominazione riflette il sincretismo profondo tra mondo egizio e greco, visibile non solo nella religione e nei monumenti, ma anche nell’organizzazione politica e nelle rotte commerciali.
Prima della fondazione di Alessandria, Heracleion era il principale porto egiziano sul Mediterraneo. Tutte le navi straniere erano obbligate a passare di lì, e la città fungeva da dogana ufficiale, come testimoniato da alcune stele. Ma Heracleion era anche un centro cerimoniale. Qui si tenevano rituali regali, processioni, feste legate al ciclo del Nilo e alla triade Osiride-Iside-Horus.
Un lento sprofondamento
Il declino di Heracleion non avvenne in modo improvviso né drammatico. Secondo gli studiosi, la sua scomparsa fu il risultato di una combinazione di fattori naturali che agirono progressivamente nel tempo. Il livello del mare cominciò a innalzarsi, mentre il terreno su cui sorgeva la città, particolarmente argilloso e instabile, subì un lento ma costante processo di subsidenza. A peggiorare la situazione contribuirono eventi sismici e maremoti, che minarono ulteriormente la stabilità delle strutture urbane.
Fu tra il II e il III secolo d.C. che la città iniziò ad affondare con maggiore evidenza. Nel giro di pochi decenni, Heracleion risultava completamente sommersa, sepolta sotto uno spesso strato di sedimenti fangosi. Fortuitamente, i depositi hanno trasformato la città perduta in un archivio sommerso di storia mediterranea.
Custodita per secoli sotto il silenzio del mare, Heracleion è oggi molto più di una scoperta archeologica: è una chiave di lettura del Mediterraneo antico. Il suo recupero ha permesso di riscrivere la storia delle relazioni tra l’Egitto e il mondo greco, mostrando quanto profondo fosse il dialogo tra le due civiltà.
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