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Viaggio nel Mediterraneo con l’agrume che ha salvato vite in attesa di una vitamina c che salvi se stesso
Tutto cominciò quando il limone divenne “raggio di luce convertito in frutto”, per dirla con le parole dello scrittore Pablo Neruda, contro la maledizione dei marinai: lo scorbuto. Febbre, perdita di peso, dolori ossei, sanguinamenti gastrointestinali e emorragie gengivali che spesso annunciavano la caduta di denti erano i sintomi che mietevano vittime a bordo delle navi più di tempeste, naufragi, battaglie.
Era il 1747 e il medico della Marina Reale britannica James Lind capì che la malattia era dovuta alla carenza di succo di limone, di cui erano affetti gran parte dei navigatori che nei lunghi viaggi in mare si nutrivano principalmente di farine. Per il concetto di vitamina bisognerà attendere il 1912 e solo il 1937 per gli studi biochimici della vitamina C che valsero il Premio Nobel al biochimico ungherese Albert Szent-Györgyi.
James Lind intanto effettuò la prima sperimentazione clinica controllata della storia, raggruppando marinai che soffrivano di scorbuto a cui somministrò trattamenti diversi, tra cui il limone. I risultati furono sorprendenti: chi lo consumò nel suo rancio quotidiano mostrò un rapido recupero, tornando nel pieno delle proprie energie.
Una svolta medica che vide le Marine militari fornire succo di limone alle proprie flotte, rivoluzionando non solo la navigazione a lungo raggio ma spostando il commercio del prezioso agrume nelle regioni del Mediterraneo, dove, fino al XIX secolo, divenne merce di valore in grado di fornire elevati redditi fondiari e trasformando regioni come la Sicilia in centri di produzione agrumicola di importanza mondiale. Fino ad allora, il limone veniva utilizzato principalmente come pianta ornamentale, introdotta dagli arabi nel X secolo nel corso della loro espansione e delle loro conquiste, prima in Spagna e poi in Italia.
La sua etimologia mostra la forza dei commerci dalla Cina al Mediterraneo
Il termine limone, infatti, come l’inglese lemon e lo spagnolo lemón, derivano dall’arabo laimūn, a sua volta dal persiano limun, lingua dell’antica Persia, dove il frutto arrivò attraverso le rotte commerciali seguite dalle carovane indiane che lo portarono anche in Cina, da cui il termine li-mun. Un’etimologia che non solo racconta il suo avventuroso percorso che dal continente asiatico lo ha condotto nei paesi del Mediterraneo, ma mostra come la forza dei commerci e dell’esotico abbia sradicato la radice latina citrus – da cui acido citrico, il francese citron e il tedesco zitron – per imporre una parola venuta da Oriente.
Le limonaie hanno così tanto caratterizzato il paesaggio di alcune zone d’Italia che alla fine del Settecento l’intellettuale tedesco Johann Wolfang Goethe lo definì “il Paese dove fioriscono i limoni”. Vengono coltivati soprattutto sui terrazzamenti acclivi delle coste attraverso un’opera immane dell’uomo che ha recuperato all’agricoltura suoli scoscesi ed impervi, dalla Liguria alla Sicilia, dove “sembra che il cielo abbia sparso polvere d’oro e che la terra ne abbia formato sfere lucenti”, scriveva Abu l-Hasan Alì, scrittore siciliano di origine araba.
Il viaggio del limone continuò a bordo delle navi di Cristoforo Colombo, quando dal Mediterraneo passò oltreoceano. Oggi l’Italia vanta una biodiversità dalle radici antiche con ben sette specie tutelate dall’Unione Europea con l’Indicazione Geografica Protetta (Igp): Costa d’Amalfi, Sorrento, Gargano, Siracusa, Messina, Etna e Rocca Imperiale, benché – rileva il CREA-Centro di Ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura (Più fondi alla ricerca per contrastare il “mal secco” dei limoni – Più fondi alla ricerca per contrastare il “mal secco” dei limoni – CREA )- in circa 30 anni la superficie agricola investita a limone è diminuita del 45% e la produzione del 41%. Un declino causato dal dilagare del mal secco, patologia considerata altamente distruttiva che arriva addirittura a decretare la morte della pianta. In attesa di una nuova vitamina C che salvi questa volta i limoni.
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