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Lo scopo dei restauri è quello di ripristinare lo splendore originario dei capolavori artistici del nostro passato. Grazie a questi interventi, però, è altresì possibile portare alla luce inaspettate curiosità sulle opere d’arte e sui motivi per cui, talvolta, è stato necessario apportarvi delle modifiche o delle “correzioni”. Uno sguardo al restauro di tre opere artistiche può contribuire a dare un’idea sulla varietà di interventi cui un’opera artistica può essere soggetta.
La statua del papa “santo”
La prima storia è tutta bolognese. La bellezza artistica coinvolta in questa descrizione è, infatti, la statua sita nella grande e centralissima Piazza Maggiore che sovrasta la porta d’ingresso del palazzo comunale. Apparentemente, l’opera sembrerebbe rappresentare San Petronio, patrono della città; la scritta sulla lapide in alto, in effetti, riporta il testo: “Divus Petronius Protector et Pater”, inequivocabile riferimento al santo patrono bolognese. Eppure, essa trae in inganno.
Il signore seduto in abiti religiosi non è lo stimato Santo Petronio, bensì un papa, e non uno qualunque, ma papa Gregorio XIII, al quale si deve l’istituzione dell’attuale calendario gregoriano, che prende il suo nome, adottato in sostituzione di quello giuliano.
All’importante pontefice, i bolognesi vollero, infatti, dedicare una statua in bronzo, rappresentandolo da seduto, in vesti papali e con un braccio sollevato in segno di benedizione. Questa è l’attuale versione in cui è possibile ammirare la statua oggi. Allora, perché la scritta lapidaria sovrastante menziona San Petronio?
La risposta va ricercata nell’occupazione francese della città alla fine del XVIII secolo. Per paura che le truppe d’oltralpe, ostili al papato, potessero distruggere l’amata statua, fondendone il bronzo, i bolognesi decisero astutamente di camuffarne le sembianze. Trasformarono, così, il papa in un vescovo, in Petronio, appunto. E lo fecero con semplicissimi accorgimenti: sostituirono la tiara papale con la mitra vescovile, e alla mano benedicente fecero impugnare un pastorale. Per fuorviare ogni dubbio, apposero anche la scritta di cui già si è parlato.
Solo nel secolo successivo si decise di restituire le sembianze originali alla statua del pontefice, sostituendo gli oggetti del santo, senza, però, rimuovere la lapide dedicata a Petronio. Il semplice restauro realizzato sulla statua, pertanto, svela l’astuto stratagemma dei cittadini bolognesi per salvare l’opera.
Le protesi di Marte e Venere
Tra i restauri più recenti, invece, desta curiosità quello delle statue di Marte e Venere. La coppia scultorea in marmo risalente al II secolo d.C. e conservata presso il Museo delle Terme di Diocleziano, infatti, era stata trasferita a Palazzo Chigi per volontà dell’ex Premier Silvio Berlusconi, il quale ne era rimasto affascinato. Era il 2010.
Marte e Venere, poi ritornati nel Museo, appaiono oggi come quando sono stati rinvenuti nel XX secolo. Alla bellissima Venere manca la punta del naso, oltre che il polso e la mano destra, e una porzione di quella sinistra; mentre Marte è sprovvisto di entrambe le mani e di parte dei genitali. Inoltre, non è presente neanche il pomello della spada impugnata dal Dio.
Nel 2010 Berlusconi ha commissionato un restauro del complesso scultoreo consistente in una vera e propria integrazione di tutte le parti mancanti. Sono state, così, aggiunte delle protesi non particolarmente apprezzate dal pubblico. Tra i motivi di tali critiche, i pesanti costi del restauro, di 70mila euro, e la natura dell’intervento stesso che ha minato l’originale autenticità della coppia scultorea.
Le costose protesi, tuttavia, sono state progettate in modo da poter essere rimosse e, come avvenuto per il Papa-Santo già menzionato, anche i due soggetti della statua sono stati “ripristinati”. Si è trattato, dunque, di un restauro sperimentale.
La campagna delle foglie di fico
L’ultimo caso di restauro preso in esame riguarda la copertura delle nudità, generalmente nascoste attraverso le famose foglie di fico. In passato queste sono state notoriamente impiegate per coprire le parti intime dei corpi maschili e femminili, sia di statue che di rappresentazioni pittoriche o murarie.
Un esempio famoso di censura è quello del Giudizio Universale di Michelangelo. L’affresco all’interno della Cappella Sistina fu, infatti, “corretto” per volere di Papa Pio IV dopo la morte del Buonarroti. Il motivo? La scandalosa della nudità dei santi, condannata in seguito al Concilio di Trento. L’opera di Michelangelo venne, infatti, tacciata di immoralità. A Daniele Volterra fu, dunque, commissionato l’intervento di modifica delle “oscenità”, che furono coperte con lembi di vestiti o con vesti intere. Egli divenne noto, in effetti, come il “Braghettone”.
Con questa campagna censoria vennero coperti i genitali dei vari personaggi, ma, ancora una volta, il restauro ha riportato alla luce l’aspetto originale del celeberrimo affresco, fatta eccezione per alcuni personaggi che sono stati lasciati immutati, con le modifiche del Braghettone. La maggior parte delle coperture era stata, infatti, dipinta a tempera sopra la mano artistica originale di Michelangelo.
La curiosità dei tre esempi citati risiede, in conclusione, nella natura e nelle ragioni dei restauri compiuti, diversi e peculiari in ogni caso.
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